| Requiem for a dream -di darren aronofsky ( 2000)
A Coney Island si incrociano le vite dannate di quattro personaggi. Sara è una casalinga senza più molto da chiedere alla vita. Un giorno riceve la telefonata di una stazione televisiva che la invita in trasmissione, e la sua esistenza ne rimane sconvolta. Harry è il figlio di Sara: è un tossico che cerca in tutti i modi di fare soldi per avere finalmente un vita decente. Decide di rubare e rivendere il televisore della mamma per investire i soldi in un pacchetto di eroina pura da smerciare sulle strade e andarsene da Brooklyn. Tyrone è il socio di Harry, quello che ha i contatti con gli spacciatori e cerca di limitare l'uso personale dell'eroina che i due dovrebbero vendere. Solo che il fatto di essere un tossico nero non gli rende certo la vita facile. Maryon è la fidanzata di Harry. Anche lei è una tossica all'ultimo stadio, una di quelle davvero pronte a tutto per una dose. Al suo fianco ci vorrebbe qualcuno con un po' di sale in zucca, ma la tendenza all'autodistruzione di Harry (e di se stessa) la porta al punto più basso di tutta la sua vita, proprio quando le cose sembravano potersi mettere al meglio. Ma è la vita di tutti e quattro che sta velocemente scivolando nel cesso...
Non c'è una sola sequenza di questa pellicola che non meriti un posto nel museo della storia del cinema, non c'è un solo elemento filmico che non sia sfruttato in maniera egregia, non c'è un solo momento che non dia la pelle d'oca allo spettatore. Il fatto che questo splendido film non sia mai uscito nelle sale italiane dimostra in pieno la totale inettitudine dei nostri distributori.
Aronofsky si era fatto notare nel 1997 dirigendo un piccolo film diventato subito un cult, "p - Il teorema del delirio". Girato con due soldi ma milioni di idee, "p" non è stato visto quasi da nessuno, nel nostro paese, complice anche il look non proprio affascinante. L'hanno visto i tipi della Artisan, però, che hanno deciso di produrgli la riduzione cinematografica del romanzo di Hubert Selby, che Aronofsky ha adattato per lo schermo insieme allo stesso autore. E l'adattamento è quanto di più cinemagrafico ci possa essere.
"Requiem for a Dream" ha portato Ellen Burstyn alla nomination all'Oscar, ma non è la sua recitazione (comunque eccezionale, come del resto lo è quella degli altri componenti il cast) che sorregge il film. Come non lo è la trama in senso stretto, che racconta sì di quanto poco serva per mandare a monte la vita di chiunque, ma che in fondo si potrebbe ridurre ad un viaggio nella mente di chi assume droghe, un viaggio non troppo diverso da quello raccontatoci da Terry Gilliam in "Paura e delirio a Las Vegas". Il film si basa soprattutto sulle invenzioni filmiche, sull'uso che Aronofsky fa del mezzo cinematografico per raggiungere l'effetto desiderato. A partire già dalla prima sequenza - con il diverbio tra la Burstyn e Leto condotto prevalentemente con una porta chiusa a dividere i due "contendenti", mostratici in split screen - appare evidente come Aronofsky voglia immergerci in universo iperreale, in cui non siamo semplici spettatori di uno spettacolo cinematografico, bensì entità astratte capaci entrare ed uscire dalle menti dei personaggi, comprendendo così al meglio lo stato di confusione psicologica in cui vengono mano a mano a trovarsi.
Arofnosky si circonda qui di ottimi professionisti, che riescono a dare il loro meglio. Nonostante alcune inquadrature (come i primi piani degli attori che scappano di corsa da qualcuno o qualcosa) risultino a conti fatti troppo artificiose, la musica a tratti sognante a tratti ossessiva di Clint Mansell, il montaggio frenetico e straniante dell'esperto Jay Rabinowitz e l'utilizzo sistematico del grandangolo per inquadrature strette da parte del direttore della fotografia Matthew Libatique, insieme alla distorsione del sonoro e a sequenze un po' lynchiane (il frigorifero che si agita, ad esempio), contribuiscono a dare a tutta la pellicola l'efficacia voluta dal regista, efficacia che il film di Giliam che ho citato più sopra non riusciva ad avere. E quando lo schermo si fa nero e i titoli di coda cominciano a scorrere, non possiamo evitare di stringerci nelle spalle e pensare che da ora in poi il mondo reale ci sembrerà molto più inquietante, perché l'abbiamo appena visto con occhi diversi. Gli occhi di un regista pieno di talento.
|