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INTERVISTE.......Articoli.....Link........, sulle band di seattle

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icon6  view post Posted on 22/10/2006, 13:32
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INTERVISTA a ED VEDDER da Spin, Giugno 2006
Grazie, per la traduzione, a Flipside.


"Dovevamo rispondere ai Mudhoney"

la vita non è facile per e.vedder dei pj. Fortunatamente può semptre contare su queste regole del r'n'r.

1) abbraccia il tuo status di icona solo in modo cauto
sono un'icona del rock?? beh, preferirei tagliare una fetta di torta (??... sarà un modo di dire). E per quel "riluttante superstar... mi sento sicuramente più riluttante che superstar. Ma mi piace il rispetto delle giovani bands, soprattutto se mi piacciono. Per lungo tempo ci son stati gruppi derivativi dal mio, e non lo consideravo un complimento. Poi gli strokes ci hanno dato riconoscenza, ed è bello in quanto fan della loro musica li ho incontrati di recente... sono davvero genuini e la loro adulazione è educata. L'ho trovato affascinante ed un po' imbarazzante.

2) mai scimmiottare i tuoi idoli
il mio scopo era quello di non essere una particolare rockstar; solo essere un buon musicista. Per me significa stare fuori dall'attenzione. In tal modo non devi pensarci, che è la cosa che rende il tutto bizzarro. Sono più influenzato dalle letture e dalle conversazioni con personi più grandi e saggie di me che dal cantante di una band.

3) vendere milioni di dischi ma non vantarsene
ten è stato un grosso album. Prima di lui ricordo che il numero magico nelle vendite era 40.000. La casa discografica ti permetteva di farne un altro. Non so che cifra abbia raggiunto ten col tempo, so che molte persone conoscono le canzoni. E' strano parlarne... come parlare del liceo. Lo passi ma non vuoi necessariamente rivedere le foto del periodo.

4) esser di seattle aiuta
per un momento sembrò che dovessimo uscire schiacciati o bruciati dll'attenzione, ma non penso di aver sofferto l'essere parte della scena. Eravamo una comunità legata alle stesse cose ...... ci si chiamava. Se uno di noi era sulla cover di un magazine senza t-shirt, tornati a casa dovevamo rendere conto ai mudhoney. Ho sempre visto m.arm come un capogruppo, ciò ci ha tenuti a terra. Al contrario avremmo avuto molto di cui essere imbarazzati.

5)se lasci, non aspettarti che i fan restino
quando ci siamo tolti dalcalderone eravamo convinti che i fans ci avrebbero cercati. In realtà abbiamo perso fans. Milioni!! le vendite si sono dimezzate ma dopotutto c'è ancora gente là fuori, la crema del gruppo.

6) mantienilo vero
ricordo da ragazzino quando ascoltavo i dischi dei pink floyd senza aver idea delle loro facce. E' bello. L'anonimato ti offre uno spazio dal quale creare. E' una legge base dell'arte. Se ti distacchi dalla comunità e sali sul piedistallo... scrivi da un punto di vista privilegiato ma lontano da quello di chi ti ascolta. L'adulazione dei fan? La domanda mi mette a disagio.

7) fai tour - ma non necessariamente bevi - con moderazione
vogliamo che qualcosa succeda ogni sera. se giri per più di un mese senza pause, entri in pilota automatico... ciò mi fa impazzire. Voglio essere orgoglioso dei miei show. Sono disciplinato? assolutamente. devo farmi almeno 2 bottiglie di vino a serata. non suono mai volontariamente ubriaco, ma voglio divertirmi al massimo. Ho un vino preferito. è rosso, fatto in casa e non venduto nei negozi. ci sono alcune cose che non puoi comprare: l'amore, la risata di tua figli e certo vino rosso.

8)dopo essere stato assente, colpiscili con un pezzo duro
sono sorpreso che wws passi in radio, contenendo la parola soldato. E' un pezzo importante perchè la guera iraquena sta seguendo la strada del vietnam, e non è bello. I nostri fans ci vogliono polemici? Cred sia poco salutare vivere nella negazione. C'è tempo e posto per questo, ma quei tempi sono quando il tuo paese è in guerra e noi siamo in guerra. Credo il potere voglia che la musica sia solo intrattenimento così che possa fare lo sporco lavoro mentre tutti sono distratti, ma dobbiamo tenere viva la cmunicazione. Tutti in america dovrebbero esporre i propri sentimenti politici. E' un imperativo.

9) mai lasciare che la musica diventi la priorità
ecco il mio più grosso rimpianto: ho rilasciato un'intervista iniziata con una domanda su quale fosso il primo disco comprato. Sono incazzato con me stesso per aver risposto. Come posso parlare di ciò con il mio paese in guerra?? Chi se ne fotte se ho comprato un disco di m.j. a sei anni?? questa roba è nulla rispetto allimpegno di riportare i soldati a casa

10)realizzare che la democrazia in una band non è sempre un bene
il processo di scrittura dell'album è stato ultrademocrati, duro e per me traumatico. Mi sono sentito come sotto il tiro di 12 cani da guardia che non mi avrebbero lasciato prima di esser finite, così che potevo scappare da quel cazzo di studio. spero non si ripeta

11)non darti mai completamente alla musica
se questa band fosse un posto, sarebbe uno in cui a tutti noi fa piacere stare. Al momento va bene, ma devi tenerlo bilanciato. la vedo così: la band è il 49%, ognuno di noi il 51%. la band non deve controllare la nostra vita. A periodi cui sottomettiamo a lei, ma co sono cose più importanti

12) e da ultimo, evita la dipendenza
mike ne ha passate di ogni e noi lo abbiamo supportato. ad un certo punto ci siamo rifiutati, doveva cavarsela e l'ha fatto, in modo incredibile. ma abbiamo perso molti amici che non potevamo aiutare. layne... avremmo voluto aiutarlo, proporgli nuovi opzioni ma tutto ciò era più grande di lui. Ed io?? nessuna droga, no... ma non reisco a smettere di fumare. Ancora un paio di tentativi e potrei riavere la mia vita.

"a volte vorremmeo ucciderci a vicenda"
s. gossard e la vita col fratello eddie vedder

siete in una band da 16 anni. che rapporto avete?
credo che ci stiamo ancora conoscendo, siamo come fratelli, con tutto ciò che comporta. a volte i fratelli vorrebbero uccidersi. non sempre realizano il bello che hanno. ma c'è una cosa... eddie ha sempre 2 mani sui comandi, noi altri solo una... e posso solo ammirarlo.

discutete molto?
cerchiamo di capirci e comunicare. come in una famiglia le cose possono complicarsi. a volte infiliamo la testa sotto terra, sperando passi... altre prendiamo nota...

i pj sembrano seri. guardate mai ai rhcp come gente che se la gode di più??
forse è così, ma stiamo imparando. è che quando la camera si accende, tendiamo a diventare seri... non è il massimo. sicuro che è meglio essere un pagliaccione, ma non è lo stile di eddie

sembrate molto vicini/legati voi due??
siamo amici ma non usciamo spesso assieme... viviamo in zone diverse della città, abbiamo i nostri amici e le nostre cose da fare...

Hey eddie, è appena passata la mezzanotte nella sonnecchiante cleveland, e ed vedder, con in mano una valigia e addosso una stretta giacca di velluto, si sta dirigendo verso l'R.C. hotel. Qualcuno urla il suio nome, lui si gira.
Un giovane repubblicano esce dall'oscurità ed attacca "bush 2008 bush 2008!!!... Jeb (il fratello del coglionazzo n.d. flip) è candidato; poi il ragazzo provoca vedder - uno dei principali promotori del v.f.c tour - in attesa che lo stesso perda le staffe. Vedder lo fissa per un attimo. Poi mormora "Ok man" ed entra.
Il seccatore sembra abbattuto...In ascensore vedder ride mostrando fossette sotto la sua barba morrisoniana: "se cercava di farmi incazzare, non ha funzionato... forse era un gran fan di gavin rossdale??
Qualche anno addietro eddie avrebbe reagito alle provocazioni. Era il vedder che riceveva un grammy con le gentili parole "non ha alcun significato"... quello che gridava ad un fan di lasciarlo in pace davanti ad un reporter... Ma ora ha 41 anni. E nei 10 anni passati da quando si acciliava su alternative nation ha sviluppato un forte senso dell'humor. L'amore con la modella J.M. e la figlia olivia- che ha i suoi stessi occhi blu- non hanno fatto del male. E ci sono altre ragioni dietro la pace interiore; Gossard:" eddie è in un momento di pace mai visto prima".
Lo stesso vale per i PJ, nonostante o forse proprio per il fatto che negli ultimi 10 anni non abbiano fatto altro che allontanarsi dalla loro fama. Rifiutati video e apparizioni tv, lanciato una scontata e autolesionista battaglia verso ticketmaster: realizzato una serie di album introspettivi a partire da no code. Hanno girato in tour senza sosta e son diventati una delle grandi band da stadio che ha attirato un seguito stile grateful dead per concerti-maratona sulla scia di springsteen, who e u2. Ma per i non fans la band è sembrata scomparire... non si è mai sciolta, sebbene mike ammetta di esserci andati vicini qualche volta.
Ora i Pj reclamano il loro posto in trincea... sono freschi, affamati e carichi secondo il capo bmg C.D. che da poco ha procurato loro il secondo contratto major della carriera. In maggio hanno rilasciato pearl jam, disco dalla spiccata energia punkrock anti-bush. Universalmente acclamato (hey hey andiamoci calmi... n.d. flip) come il migliore da vitalogy ed il primo da ten a contenere inni " è come se avessimo consegnato il compito in tempo, ottenendo tutte A e B... ma non abbiamo alzato la mano e risposto in classe. Lo ha fatto il disco."
Ed il mondo ascolta: lp ha passato un mese in top20, ed il singolo "ramones incontrano gli who" wws èstato un successo portando la band nelle radio. La band mostra una inedita voglia di promozione (snl e dls) per far sentire la propria voce politica."è un momento critico per la nostra democrazia... noi rappresentiamo l'america... abbiamo la stessa influenza di r.Limbaugh. E se lui "parla" attraverso la sua piattaforma, noi dobbiamo fare lo stesso"
Stare coi pj per 5 date in maggio durante la prima parte del tour americano, è com ritrovarsi con i vecchi compagni del liceo; non li hai visti per anni, ma sei sorpreso dal fatto che sioano cambiati senza che tu abbia potuto vederlo.
In contrasto con l'immagine di un tempo (privi di humor, paranoici, sempre sul punto di implodere) ora sembrano allegri e rilassati. Come molti artisti in giro da tempo, non ne passano molto assieme fuori dal lavoro. "ci concediamo spazio a vicenda... perchè in tour sei tutto il tempo l'uno di fronte all'altro" di matt
Ma i ragazzi sono a loro agio da permettere ad un estraneo di seguiri le loro prove e non mollarlo quando salgono/scendono dal palco. Si scambiano "pugni" di incoraggiamento prima di ogni show e la seconda sera mike ne da uno anche a me
Eddie vede la band come esempio di democrazia funzionante: un po' è dovuto all'essere insieme da più di 15 anni che trasmette alla gente la possibilità di una cosa simile...
Ma i pj sono anche dittatoriali; anche Gossar, fondatore della band e autore di buona parte della musica nei primi anni, si è arreso di fronte al ragazzo che a volte chiama "ed ved". " ad un certo punto eddie ha capito di essere la figura centrale della band" dice un gossard i cui capelli corti e occhiali farebbero pensare ad un impiegato di siti internet "se cantassi come lui e fossi capace di creare la stessa energia, vorrei la stessa possibilità di dire "questo non mi sembra ok". Potrebbe fare molte altre cose, ma ha scelto i pj... è fantastico farne parte.


Backstage alla grand rapids arena, Michigan, mentre a pochi metri una sfida a ping pong impazza, vedder ed io sediamo su sedie ripiegabili e guardiamo lo schermo di un macintosh. I power chords di life wasted escono dalle casse. Stiamo guardando l'appena realizzato nuovo video della band, il primo in cui appaiono da jeremy, 1992. Vedder guarda in silenzio, tenendo il ritmo col piede.
Il video molto artistico non è una buona scommessa per la classifica di trl. Esplora i temi della canzone, morte e rinascita, attraverso la messa in scena di sculture dei membri della band sottoposte ad esotiche forme di abuso – sono bruciati vivi, immersi in acqua ed infestati da vermi ed insetti. In mezzo a tutto ciò alcuni momenti di eddie che canta e la band che suona. Mentre il video finisce, chiedo se sia stato realizzato al pc. Eddie sembra prenderla male, spiegando che un artista multimediale di nome f. apodaca ha creato le figure nel corso di 6 mesi filmando vere sculture. I ragazzi hanno dovuto prendere impronte delle loro teste e vedder ha sacrificato nel processo le sue ciglia; “i libri medici dicono che dovrebbero tornare”, dice mostrando il suo attuale look.
Per fare il video la band ha dovuto superare la sua convinta avversione a tale forma; quando jeremy vinse come video dell'anno, vedder sentì che il nome del premio dovesse essere miglio pubblicità per il tuo cd. “volevamo uscire da quel giro”, aggiungendo con un sorriso “venivamo da una posizione simile a quella dei nativi d'america, che credono che nel momento in cui ti fanno una foto, ti viene succhiata una oparte dell'anima”.
Durante la prima ondata di fama, vedder aveva diverse ragioni nel credere che ben più della sua anima era a rischio: “c'erano diversi problemi nei quali non mi ero mai ritrovato” mi rivela un pomeriggio nella sua stanza al 4 seasons di Chicago, mentre fuma una sigaretta spirit e allo stesso tempo, come se per riparare il danno, sorseggia del tè. E' vestito in uno stile definibile come “ “scongelato uomo delle caverne giunge”: maglietta, pantaloni in velluto e quello che potrebbe essere l'ultimo paia di doc martens del nord america. Sul suo grembo il suo inseparabile compagno, un notebook nero, con un adesivo del simbolo mod in onore al suo amore per gli who, dove tiene i testi in via di definizione.
Vedder continua a parlare lentamente: “qualcuno con grossi problemi mentali e sotto effetti chimici ha finito col prendermi di mira e pensare che tutte le canzoni fossero scritte su di lei e che io fossi il padre dei suoi 2 figli, e che fossero il frutto di uno stupro, e che io fossi gesù… e che gesù stupri. Tutti a dire la fama, bla bla bla…non questa non è fama, questa è una minaccia fisica alla tua vita.” Vedder non entra nei dettagli, ma sembra che il problema abbia raggiunto l'apice tra il '94 e il '96. Lui e beth l. hanno messo nuove recinzioni atto alla loro casa di Seattle e adottato una security 24 ore su 24 chiedendo che la epic aiutasse a pagarla. “se volete dischi da me, dovete sostenermi pagando la mia protezione” e poi rivela “una donna guidò la sua auto a 50 miglia l'ora contro il muro di casa mia quasi ammazzandosi”.
Questa paura – testimoniata nel pezzo lukin da no code del '96 (trovo mia moglie/ chiamo la polizia/ oggi il lavoro sembra interminabile/ alla fine sento che quel pazzo stava acquistando una cazzo di pistola) rese difficile per eddie uscire di casa contribuendo alla sua nomea di recluso scorbutico. Non dice cosa sia stato della donna, se non che è viva e che non ci sono procedimenti legali contro di lei “sarà sempre un problema”… eddie cambierà poi casa, fuori Seattle, un posto del quale non fa il nome.
Attorno al '96 vedder decise che ne aveva abbastanza della fama, dei pezzi di successo – nello studio potenziali successi erano visti come minacce alla sua vita. La band rifiutò le interviste, eddie iniziò ad eliminare l'elemento orecchiabile delle canzoni, il che potrebbe essere il motivo per cui gran parte del materiale pop può essere trovato sulla raccolta lost dogs “ sentivo che ancora un po' di successo e noi saremmo stati distrutti, le nostre teste esplose come chicchi d'uva”.
… è facile dimenticarsi di quanto pj, nirvana ed il concetto di giunge fossere grandi nei primi ‘90s. Ten ha venduto più di 12 mln di copie, la moda giunge apparve su vogue e la musica del gruppo dominava le radio pop.
Ora i pj sono rimasti soli a rappresentare quel periodo, superando i pari (soundgarden, il cui batterista suona ora nei pj), i rivali (nirvana) e gli imitatori (creed) allo stesso modo. Vedder è restio sul tema:”questa è la roba di cui non voglio parlare, sono cazzate… dovevi esserci” mi dice facendo un tiro di sigaretta “è stato fottutamente intenso: si trattava di veri sentimenti provati da vere persone e si stava portando velocemente il tutto a livello di massa rendendolo uno scherzo. E noi non eravamo uno scherzo”.
Senza video e con poca altra promozione, il secondo album vs vendette cmq 7mln di copie. Il successore 5 e no code sfiorò il platino. Non tutti erano eccitati. “quando abbiamo fatto il passo indietro, io mi sentivo come: aw, amico…” dice mccready “ero un po' spiazzato, volevo continuare a fare video e quella roba… abbiamo la possibilità, non bruciamola”
Ma ora i membri de gruppo sono d'accordo che quella fosse la scelta giusta… “alla fine non l'abbiamo bruciata, siamo ancora in giro; forse abbiamo perso qualche fans e mi dispiace ma siamo sopravvissuti come band. Gossard: “ a posteriori è stato fantastico, quello che dovevamo fare. Ed ci aveva preso in pieno. Se avessimo ascoltato l'industria o i nostri egos tutto sarebbe andato giù per lo scarico del cesso”
Cobain ebbe ancora più grossi problemi col successo… e nel suo caso l conseguenze più definitive. Spese diverso tempo a discriminare i pj sulla stampa, memorabile la sua accusa di essere dei pionieri di un nuovo genere “la fusione di rock del cazzo, musica indipendente e musica commerciale”. “credo non abbia mai ben inquadrato la band” dice vedder seduto su una sedia una sera “ma credo che se fosse sopravvissuto lo avrebbe fatto. Sono parole grosse, ma credo siano vere”
Vedder guarda indietro “mi manca… molte volte, quando ci si passa una chitarra , attorno ad un falò o roba così, penso che starebbe benissimo lì con noi. Penso a lui di continuo.”
Vedder e cobain si riavvicinaro come risaputo il 10 settembre '92 agli mtv music awards “ballammo lentamente sotto il palco sulle note di tears in heaven di clapton. Stavamo ballando sul pavimento di una palestra sebbene si trattasse di un ballo del settimo grado”
Provi rancore?? (credo sia questo il significato di cop a feel)
No, rispettavo kurt
Chi comandava??
Bella domanda. Questo è il punto… nessuno.

Mike McCready fissa attraverso i suoi occhiali dalla montatura arancione il soffitto della rock'n'roll Hall of Fame di Cleveland, a cui sono appese varie auto coperte di graffiti. Sono parti della scenografia dello Zoo tv tour degli U2. “Abbiamo aperto per gli U2 in Europa in quel tour”, dice McCready. “Il pubblico ci odiava!” E' sabato pomeriggio, e siamo in internet per comprare dei biglietti.
McCready, i cui assoli fluidi e un po' blues contribuiscono a quel “cock rock” disprezzato da Cobain, è un ex alcolista di buon carattere che correva spesso sul palco nudo. Al tempo delle sue notti folli, gli altri della band lo trattavano come un fratello minore, ma il suo ruolo è diventato via via più importante: McCready ha scritto la nuova epica “inside job”, e per questa volta Vedder canta i suoi testi.Entrando nella stanza principale del museo, ci ritroviamo di fronte, senza preavviso, una grande bacheca dedicata alla scena di Seattle degli anni '90. Dentro, in mezzo ad altri artefatti, ci sono i resti di una stratocaster spaccata – secondo la targhetta apparteneva a un certo Mike McCready. “Non avevo idea che fosse qui”, dice, con l'aria un po' sbalordita.
In pochi attimi Mike diventa involontariamente parte dell'esibizione, con i fans che si mettono in fila per fare foto. Intanto, una voce registrata racconta la storia della scena; ci informa che Andrew Wood, il vistoso cantante dei Mother Love Bone, è morto di overdose il 19 maggio 1990.
Una guardia di sicurezza ci sgrida perchè stiamo facendo delle foto. Mentre usciamo, McCready ricomincia da dove si è fermata la voce narrante, tornando con la memoria alle prime jam con Gossard, l'ex chitarrista dei Love Bone, poco tempo dopo la morte di Wood. All'epoca non sembrava certo materiale da Hall of Fame. “Eravamo soltanto io e Stone nella casa dei suoi”, dice. “Lui aveva questi riff. Abbiamo lavorato a lungo su “alive”, “even flow” e “black”, solo io e lui.
Gossard aveva cercato McCready dopo averlo visto improvvisare “Couldn't stand the weather” di Stevie Ray Vaughan a una festa. McCready a sua volta, incoraggio' il suo nuovo compagno di band a riunirsi con il bassista dei Love Bone, Jeff Ament. Ament, un candido skater che veniva dal Montana, aveva iniziato un'improbabile amicizia con Gossard nei Green River. Il gruppo, che comprendeva anche il futuro leader dei Mudhoney Mark Arm, era un incrocio tra punk e metal - Gossard era un fan dei Van Halen, Ament preferiva i Black Flag. La band ha contribuito a creare il suono heavy e cupo conosciuto come grunge.
Due sere prima, in un ristorante di chicago, Ament, che è ancora uno skater – e si veste ancora da skater, porta una maglietta con la testa di una capra (?!!) in un pentagramma – si siede in un separè di pelle. Mentre cominciamo a mangiare, Ament fa risalire la rottura dei Green River a un concerto di apertura per i Jane's Addiction a L.A.: Gossard e Ament erano rimasti impressionati dal rock pomposo, tribale di Perry Farrel mentre Arm – che ha poi continuato a definire il suono grunge con la band indie dei Mudhoney – era rimasto disgustato da quello che considerava presunzione da stadio. “Quando abbiamo visto i Jane's Addiction ci siamo detti, ‘Questo è quello che vogliamo fare'”, dice Ament.
Dopo la morte di Wood, Gossard voleva una band un po' più “dark”. Alla fine entro' in studio con McCready, Ament e il battersista migliore della città, Matt Cameron. E' là che hanno buttato giù la versione strumentale di canzoni come “Even flow” e “Alive”. Il demo arrivo' in qualche modo a Eddie Vedder, un surfer di San Diego impiegato in un distibutore di benzina, che aveva da poco rotto con la sua band, i Bad Radio.
La leggenda vuole che Vedder abbia scritto i testi delle canzoni tutti in una volta, mentre surfava. Quella storia, mi dice lui nella sua stanza d'albergo a Chicago, è “vera al 100%”. Ma ammette che un altra storia che si sente spesso è meno attendibile: che il nome Pearl Jam deriva dalla bisnonna di Vedder, Pearl, che aveva sposato un indiano e faceva sempre marmellata arricchita con vari allucinogeni. La sua bisnonna si chiamava davvero Pearl. Il resto, invece, “sono solo stronzate”.
Quando vengono a sapere dell'ammissione di Vedder, Ament e Gossard sembrano sollevati. Raccontano il vero – seppur meno romantico – racconto dietro al nome della band. Mentre se ne stavano in un ristorante di Seattle alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa per rimpiazzare il loro nome originale, Mookie Blaylock (ispirato dalla star dell'NBA), Ament se ne usci' con “pearl”. La band non decise la seconda parte del nome fino ad un viaggio a New York nel 1991 per firmare con la Epic. Gossard, Vedder e Ament andarono a veder suonare Neil Young al Nassau Coliseum. “Suono' tipo nove canzoni in tre ore. Ogni canzone era come una jam di 15, 20 minuti”, dice Ament. “E cosi' ‘jam' è stato aggiunto al nome. O almeno questo è quello che ricordo io.”
Le luci della Van Andel Arena di Grand Rapids si accendono come un'alba improvvisa quando Gossard si lancia nel tortuoso riff di “alive”. Vedder assume una posa familiare, stringendo l'asta del microfono con entrambe le mani come se fosse in pericolo di volare giù dal palco, e inizia a cantare, “Son, che said, have I got a little story for you...”
Alive è, con qualche piccola differenza, la storia di Vedder. Quando aveva diciassette anni sua madre gli disse che Peter Mueller, l'uomo che lui pensava fosse suo padre – e che odiava – non era affatto suo padre. Il suo vero papà era il primo marito di sua madre, Ed Severson, un ex musicista lounge (?) morto molti anni prima di sclerosi multipla. Vedder, che da allora ha usato il cognome di sua madre, aveva quattro mesi quando sua madre e Severson avevano divorziato, e lui era cresciuto conoscendolo come unj amico di famiglia.
Partendo dalla realtà, il narratore di “alive” allude a una relazione incestuosa con sua madre. “Non c'è stato nessun incesto nel mio caso”, dice Vedder. “Ma gente che conosceva mio padre – donne – venivano da me e mi guardavano in un modo che non crederesti mai. Mi guardavano perchè ho il suo stesso viso e a quel tempo lui era morto da almeno dieci anni. E quindi non riuscivano a staccare gli occhi da me. E ho visto anche mia madre farlo, mi guardava e basta.
Vedder ha cominciato a cantare a sei anni – riusciva ad eseguire tutte le note alte di Michel Jackson nei vecchi dischi dei Jackson 5. “Quando ho cambiato la voce, mi dicevo, ‘wow, tutt'a un tratto sembro James Taylor'”, ricorda Vedder. Da allora ha ascoltato una cassetta del suo vero padre che canta canzoni di Gordon Lightfood; lo stile è più raffinato, ma Vedder sente qualcosa di familiare in quella voce.
Sul palco a Grand Rapids, Vedder guarda le migliaia di fans con i pugni alzati e aggiunge ad “alive” parole che non sono nella versione registrata: “siamo tutti, siamo tutti ancora vivi!” Poi conclude, con una divagazione mentre la band suona a tutto volume, “Lasciate che ve lo dica, non è facile”.



Eddie Vedder cerca di farmi ubriacare. Siamo nella sua camera d'albergo dopo lo show di Cleveland. Apre una Bud (sarebbe una Budweiser...) con il suo accendino e me la passa -- prima che la finisco, me ne passera' un'altra. Vedder, come al solito, si e' gia' scolato una bottiglia di vino rosso sul palco e di conseguenza beve piu' piano ora, con una Coors (un altro tipo di birra) in mano.

"A dire la verita', provai a fare un po' di concerti senza bere", dice piu' tardi riguardo la sua abitudine. "Ma hai presente come i baristi hanno un drink qua e la mentre i cameriere non possono? Mi sentivo piu' come un cameriere -- che stavo solamente lavorando." Vedder fumava erba con frequenza, ma non l'ha piu' toccata dalla nascita di sua figlia. A un certo punto ha avuto anche una "fase Ecstasy" e ha perfino cercato di creare musica techno. "Ascoltavo tutta questa roba mentre facevo uso di Ecstasy. Ma mi chiedevo, 'la scrivono mentre fanno uso di Ecstasy?' Decisi che l'unico modo di farlo e' prendere l'Ectasy e poi scrivere la musica Ecstasy" dice ridendo. "Non funziono'. Ma mi sono divertito con l'Ectasy."

Nel backstage prima del concerto a Cleveland, mi chiede, "sei pronto a stare sveglio fino a tardi?". Ero pronto. Vedder decide di mettere della musica adatta e scompare nella sua camera da letto. Dopo una breve pausa, il suono del nuovo album degli Strokes riempie la stanza. Si scusa dicendo "ovviamente ho roba molto piu' strana che gli Strokes, ma questo e' cio' che avevo a portata di mano."

Per uno che ha passato anni dribblando la stampa, Vedder e' una gran bella intervista -- affascinante e specifico. Quando si immerge in un aneddoto la sua voce, bassa e risonante, e' quasi ipnotica. All'inizio dell'intervista, decide di usare un piatto come porta ceneri e accende la prima delle molte American Spirits che saranno fumate quella sera.

Gli chiedo di "Life Wasted", nella quale canta "l'ho affrontata, una vita sprecata/non tornero' mai piu'." Chiude gli occhi mentre parla di come la testimonianza del funerale di un amico possa aiutare a "capire come la vita sia un regalo. Quando te ne vai dal funerale, la strada che segui e' importante come qualsiasi altra strada che percorrerai nella tua vita. Hai un nuovo senso di apprezzamento per la vita. E credo che questo sentimento ti puo' durare per la giornata, per la settimana, ma poi le cose tornano al normale e cominci a vedere il vivere, il respirare, il mangiare come cose che si sono dovute. Credo questa canzone sia li per ricordarti, 'questo e' il sentimento.' "

Vedder aveva in mente un amico in particolare quando scrisse la canzone: "la verita' e' -- e' una questione delicata e questo e' un rapporto intimo e delicato. Lo dico. Fanculo. Dritto per dritto. Meta' dell'album e' basata sulla perdita di un uomo che si rivelo' il miglior amico che ho mai avuto su questo pianeta. E' questo fu Johnny Ramone." Tutto a un tratto, i tempi e le potenti corde che dominano l'album Pearl Jam hanno una spiegazione.

Fu un'amicizia strana: il chitarrista dei Ramone, che morì il 15 Settembre, 2004, -- circa un mese prima che i Pearl Jam iniziassero a registrare il nuovo album -- era fortemente repubblicano e, secondo molti, non il tizio piu' caloroso del mondo. "Ridevamo pensando che io lo rendevo un uomo piu' buono e che lui mi faceva diventare piu' stronzo," dice Vedder. Vedder, insieme al chitarrista John Frusciante dei Red Hot Chili Peppers, Vincent Gallo e Rob Zombie, passo' ore a casa di Ramone, dove lui gli faceva sentire musica (sul jukebox, non sulla chitarra) e vedere filmini da shows con Gene Vincent dei Dead Boys. "Eravamo gli studenti di Johnny Ramone, per sempre legati," dice Vedder. "Non ho mai provato la perdita di una persona con la quale parlavamo così frequentemente, con tale intensita' e intimita'."

Ma ad aiutare Eddie nel risolvere il dramma centrale della sua vita fu un altro celebre amico. La madre di Vedder si trovava nel bel mezzo di un doloroso divorzio da Mueller (fate l'amore con il sapore!) quando disse ad Eddie, a quel tempo diciasettenne, la verita' riguardo i suoi genitori. Vedder e Mueller erano gia' in conflitto -- a un certo punto, si dice, Mueller spinse Eddie giu' per le scale. (Mueller lo nega.) Da ragazzino, mi dice Vedder, curava i suoi dolori dovuti a questo rapporto andando in un parco con la sua chitarra e cantando una canzone di uno dei suoi eroi, Bruce Springsteen -- "Independence Day,", una storia della divisione fra un padre e suo figlio : "non c'era modo di contenerci entrambi in quella casa." Nel tour Vote for Change del 2004, Vedder finalmente si avvicino' personalmente a Springsteen.

Una notte, Vedder e Springsteen -- che notoriamente riuscì a risolvere i problemi con suo padre grazie alla la musica -- passarono del tempo insieme su un tetto di Manhattan, bevendo tequila. "Parlavamo di politica e poi entrammo nel discorso di politica familiare, una serie di esperienze che ci accomunava. E' stata una conversazione molto intensa," dice Vedder, in maniera contemplativa. "Mi ha esposto ad alcune verita' che lui e' riuscito ad accettare in maniera sana, mentre per me erano concetti nocivi. Mi ha aiutato a curare alcune cose con le quali convivevo da tempo."

Quella notte, Vedder racconto' a Springsteen di quando suonava "Independence Day" e come la sua musica lo avesse cambiato. "Mi hai aiutato come voce che veniva da un vinile,", gli disse. "Ora mi hai aiutato come un essere umano davanti a me."

Poco piu' tardi, dopo la conversazione con Springsteen, Vedder ando' al matrimonio di uno dei suoi fratelli. Lì, venne faccia a faccia con il padrigno per la prima volta dagli anni '80. "Quando finalmente ho dovuto incontrare di nuovo quel tizio, Bruce e' stato quello che mi ha dato la giusta' mentalita' per affrontare la situazione," dice. "Ho tre fratelli piu' giovani -- se loro erano condizionati dal fatto che non avevo un rapporto con lui, era abbastanza per perdonare e risolvere le cose. Non volevo che loro dovessero essere divisi fra noi due."

Ci spostiamo su un altro argomento duro: la fine, nel 2000, del matrimonio di Vedder con Beth Liebling, con la quale fu insieme dai tempi adolescenziali. Non spiega il motivo per cui si sono lasciati, ma ammette che fu devastato. Il divorzio accadde nello stesso periodo della piu' grande tragedia della carriera dei Pearl Jam: nove giovani fan morirono travolti il 30 Giugno durante il loro set al Roskilde Festival in Danimarca. "Puoi immaginre in che posizione vulnerabile mi trovavo," dice al riguardo. "Mi ricordo che non c'era via di uscita. Ascoltavo The Who by Numbers, e c'e' una frase in 'Slip Kid' -- "Non c'e' modo semplice per essere libero.' Pensavo, 'non posso essere piu' d'accordo.' "

Poi Vedder venne a conoscere Jill McCormick. Era una modella, una professione che Vedder furiosamente critico' nella traccia tratta da Vitalogy, "Satan's Bed": "Esempi così belli, piccola puttana magra/modella, role model, rotola un po' di modelle nel sangue/attacca un po' di carne così ci assomiglieranno." Ride quando gli chiedo se ora chiede scusa per quel testo. "Guarda, la persona di cui mi sono innamorato, per caso aveva questo lavoro. Ci furono un po' di giorni quando pensai, 'Wow, tutto cio' sembra contradditorrio.' Dovette passare un test piu' difficle che innamorarsi di qualsiasi altra persona. E passo'."

Ma prima del nuovo rapporto, mentre Vedder si disperava ancora per Roskilde e il suo divorzio, il gruppo ando' avanti con un tour. I Sonic Youth aprirono, e la figlia di sei anni, Coco, di Thurston Moore e Kim Gordon venne con loro. "Coco mi regalava disegni, giocavamo a ping pong. Coco mi ricordo' di aprire il mio mondo, mi permise di non essere lo stronzo di cui avevo tutti i diritti di essere. Ho pensato dopo Roskilde, 'Ok, questa e' la mia occasione, posso essere quello stronzo per sempre.' Coco mi ha mostrato la luce."

"E ora ne ho una mia." Mi mostra alcune foto adorabili di Olivia Vedder, nata l'11 Giugno 2004. Sono quasi le 5 di mattina. Vedder scuote la testa e mi guarda negli occhi. "Roger Daltray ha una cosa che dice sempre: 'Sii fortunato.' Ci ho messo un po' per arrivarci -- ma ho seguito il suo consiglio."

Edited by pastare - 22/10/2006, 14:45
 
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qui potete trovare una serie di interviste ....o articoli su alcune band ........ http://www.jamonline.it/jam87/coverstory87.htm

Edited by pastare - 31/10/2006, 14:10
 
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tratto da rock star
Pearl Jam riprendono la strada e, quattro anni dopo Riot Act, tornano con un nuovo disco omonimo.
In questa lunga intervista Eddie Vedder parla di politica, di surf e della figlia Olivia. E di quella
volta alle Hawaii, quando vide la morte in faccia


L’intervista si svolge nel nuovo magazzino dei Pearl Jam a Seattle, dove il gruppo sta costruendo uno spazio di registrazione e ha collocato tutte le sue attività di management e fan club. La conversazione inizia con alcuni commenti sul libro che ho scritto in danese: I Pearl Jams Fodspor ovvero Sulle Orme dei Pearl Jam, il quale illustra gli eventi successivi all’incidente al Roskilde Festival del 2000, dove nove ragazzi morirono durante un loro concerto. Nel 2002 contattai, da parte di Eddie Vedder, amici e famiglie di alcune delle vittime, mentre l’anno successivo Stone Gossard si recò in Danimarca e mi chiese di organizzargli un viaggio per incontrare i parenti delle vittime.
Il viaggio di Stone in Scandinavia è la spina dorsale del libro, pubblicato in Danimarca nell’ottobre scorso. Eddie mi chiede della reazione che ha avuto il libro in Danimarca.

Un’accoglienza davvero buona, mi ha contattato molta gente dicendomi: “Grazie per aver scritto il libro, ora posso ricominciare ad ascoltare i Pearl Jam. Per anni non sono riuscito a ascoltare la loro musica perché era troppo legata alla tragedia”...
«Si, è lo stesso che ho provato io con Kurt (Cobain, nda). Ancora oggi ho problemi ad ascoltare la sua musica. So come ci si sente.
In questo caso poi stiamo parlando di amici e famiglie e dei loro sentimenti. È incredibile poterne parlare a distanza di anni, ed è incredibile poterne ricavare anche lati positivi ».

In qualche modo c’è sempre luce alla fine del tunnel.
«A volte succede, semplicemente, ma non hai idea di quando girerai quell’angolo. È una cosa talmente dura da superare quando ci sei dentro. Come ha detto Tom Waits: “Anche in fondo al pozzo riesci a vedere le stelle di notte”, ma è molto difficile quando stai attraversando quella fase, perché hai perso tutto e hai il cuore a pezzi. Dentro di te continuano le reazioni fisiche, mentali e chimiche, ma non sai come sopravviverai: è una sorta di prova che semplicemente vivendo, andando avanti giorno dopo giorno, rende quel terreno che un tempo era solo cenere, fertile fino a fiorire. Incredibile, la vita è incredibile».

Ascoltando le parole di “Life Wasted”, canzone d’apertura di Pearl Jam, sembra che tu affronti i tuoi demoni. Il messaggio è che conosci l’oscurità della vita ma rifiuti di venirne trascinato di nuovo dentro. Una canzone positiva, consapevole di cosa significhi sprecare una vita.«È quasi come se ci fosse un’energia che si sprigiona dalla morte di qualcun altro, come succede quando partecipi ad una cerimonia. Nel surf facciamo questa celebrazione in cui siamo in cinquanta e remiamo verso il largo, superando le onde, tenendoci per mano e gettando le ceneri della persona morta nel mare.
Ho partecipato a una cerimonia del genere la settimana scorsa: abbiamo fatto un gran circolo con le nostre tavole da surf e abbiamo detto i nostri pensieri. È stato particolarmente intenso perché il ragazzo che era morto era un grande ambientalista, soprattutto riguardo agli oceani, e un surfer appassionato. Un ragazzo giovane, portato via da una malattia. Abbiamo nuotato verso il largo la mattina presto e il ragazzo che aveva le ceneri nello zaino ha visto un’onda enorme che gli è venuta addosso e l’ha presa, così ha potuto dargli un’ultima onda, poi ha nuotato verso di noi e si è seduto nel centro. Lo abbiamo ricordato e poi abbiamo versato le ceneri nell’oceano.
Una giornata bellissima. Ma una cerimonia del genere ti ricorda quanto è fragile la vita, ed è il momento in cui cominci a pensare a cose di questo tipo. Vita sprecata. Quando sei stato vicino alla morte hai una brama di vita che non vuoi perdere un secondo, anche se per quanto potente sia quella forza, sembra che a volte abbia una durata di meno di un mese. “Life Wasted” è un promemoria di quell’energia ».

Circola una storia su di te e il padre di Jack Johnson: alcuni anni fa alle Hawaii siete stati colpiti da un’onda enorme mentre facevate canoa e vi siete persi nel mare. È vero? Un collega l’ha chiesto a Jack ma non ha ricevuto risposta.
«Beh, Jack probabilmente è riluttante a raccontarla perché non era coinvolto lui, ma il padre. Stavamo remando tra due isole hawaiane e il tempo peggiorò improvvisamente, c’erano forti venti e proprio mentre cercavamo di mettere la canoa controvento, un’onda ci rovesciò. Eravamo sei, tre si aggrapparono alla barca mentre tre rimasero in mezzo all’oceano, io e due donne. Restammo tra le onde per quello che ci sembrò un periodo di tempo infinito. È successo nel 2001, ma non l’avevo mai raccontato prima».

Questo tipo di esperienza al limite della morte ti ha dato un nuovo appetito per la vita?
«Quando successe questo incidente stavo vivendo una vita da selvaggio da più o meno un anno. Con il ritorno dal tour di Binaural e quello che era successo in Danimarca (la tragedia di Roskilde, nda), sommato ai miei fatti personali (Vedder si stava separando dalla moglie Beth Liebling, nda), decisi di scomparire per circa un anno e proprio mentre ero in un posto dove nessuno poteva trovarmi stavo per morire. Beh, parte del mio processo per sopravvivere a tutto quel periodo, le scelte che ho fatto, mi avevano messo in una situazione in cui mi ero spogliato della mia identità fino a diventare un essere umano primitivo, animale, che viveva solo della terra. Così quando successe l’incidente ho semplicemente provato un legame forte con la natura, non ho provato panico. Se in quel momento fossi stato a Seattle, avessi preso una vacanza e mi fosse capitato un incidente come quello, sarebbe stato completamente diverso. Ma allora mi sentivo in pace, cercavo di pensare a un modo per uscire dalla situazione. Poi, per fortuna, ci salvò una barca di pescatori, l’unica che quel giorno era fuori, a causa del tempo: la figlia del pescatore vide noi che agitavamo i remi sopra le nostre teste, in mezzo alle onde, e vennero a prenderci. Due settimane dopo tornai con una piccola barca sulla scena del delitto, per vedere quanto lontano ci eravamo spinti e in che situazione ci eravamo cacciati. Provai l’impulso di vomitare: era molto peggio
di quanto avevo immaginato. Quando alcuni hawaiani seppero quello che era successo e dove, mi dissero: “È ora che torni a casa e ti metti a fare buone azioni, perché hai usato tutto il tuo karma”».
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Torniamo al presente. Hai detto che considerate Pearl Jam il miglior disco che avete mai suonato. Che cosa pensi che vi sia riuscito con questo materiale che ti fa essere così sicuro dei nuovi pezzi?«È una domanda interessante. Innanzitutto credo che quello che facciamo sia cercare di fare la migliore musica di questo pianeta, con riferimento al nostro gusto personale. Ieri sera ho rivisto un vecchio amico, Robert Pollard dei Guided By Voices che avevo visto in concerto all’inizio della registrazione di questo album, quattordici mesi fa, in uno dei migliori concerti della mia vita. Ieri Bob si è esibito da solo, i Guided By Voices si sono sciolti, e ho pensato a quanto è bella la sua musica. Questo è quello che cerchiamo di fare con i Pearl Jam. Non cerchiamo di essere la band migliore, cerchiamo semplicemente di fare la musica migliore. E come facciamo a capirlo? Ci deve divertire. Per questo album abbiamo lavorato sodo, abbiamo litigato e discusso all’infinito e senza neanche pensarci troppo lo abbiamo partorito, mentre nel passato abbiamo sempre registrato abbastanza velocemente. Qualcuno porta una canzone, tutti la impariamo e la registriamo lo stesso giorno. Eravamo in un certo modo orgogliosi di quell’etica professionale, ma questa volta non siamo partiti con l’idea di fare qualcosa di differente, semplicemente è successo. Penso che oggi sentiamo di avere più potenziale di quanto ne avessimo nel passato, per questo dicono che Pearl Jam è il nostro album migliore».

È un ritorno parziale a canzoni molto veloci, grintose e con grandi cori. Ma anche con molti accordi strani e arrangiamenti vocali che ricordano Beatles e Beach Boys...«Stavolta avevo questo piccolo oggetto con me, una macchina digitale a otto piste. Ovunque andassi tenevo mia figlia con un braccio e la macchina con l’altro, la montavi in cinque minuti e appena arrivavo in hotel o in un qualsiasi altro posto alle quattro del mattino, cercavo la finestra migliore, spostavo i mobili, la mettevo e diventava semplicemente un amico.
Di solito è una chitarra o un ukulele ad avere questo ruolo e invece stavolta era un pezzo di tecnologia che mi permetteva di lavorare. Devo dire che mi sono goduto il processo creativo dell’album non appena abbiamo deciso di dedicargli più tempo. Originariamente, infatti, il disco sarebbe dovuto uscire lo scorso ottobre».

Stone Gossard disse che tu contavi di uscire nel Luglio scorso...«Dissi semplicemente: se impieghiamo così tanto tempo con la musica, mi dovete dare più tempo per i testi e il canto, perché non butterò semplicemente una mano di vernice. Infatti ho fatto un passo indietro, ho guardato tutto il lavoro fatto, ho preso un pennello piccolo ed alcuni grandi.
Qui è dove entrano i cori». Hai detto che tenevi tua figlia con un braccio e la macchina con l’altro. Olivia (la figlia avuta da Eddie nell’estate del 2004 dalla sua nuova compagna e modella Jill McCormick, nda) è la tua primogenita, e molti, diventando genitori, cambiano. È il tuo primo album da padre, hai sentito qualcosa di diverso?
«Penso che quello che la gente dice sul diventare genitore siano tutti cliché, come il fatto che rivivrai la tua infanzia e tutta questa innocenza entrerà nella tua vita. È vero, ma quello che non mi aspettavo era di diventare così arrabbiato nei confronti degli Stati Uniti, il nostro Paese, e del suo coinvolgimento a livello mondiale rispetto alla salute globale del pianeta. Mi ha reso radicale su cose su cui cercavo di essere diplomatico. Adesso sono arrabbiato, perché la cosa non riguarda più solo me, riguarda Olivia e dove sarà il mondo quando lei sarà adolescente. Sono furioso. Quindi non ho provato questo sentimento pacifico, sereno, di avere un figlio, ma è stato diverso. Davvero.
Perché quando hai un figlio sai che è il suo mondo, lo è per davvero. Per lui tutto è nuovo. Quindi, io alla mia età, mi rendo conto di avere un mio piccolo mondo, mentre questo grande mondo è tutto di Olivia, e non voglio che questi stronzi lo mandino a puttane. È il suo pianeta che stanno rovinando, quindi ora sono incazzato».

Hai anche detto che il misero stato in cui si trova il mondo è una delle principali ragioni che rendono questo album così aggressivo.
«È facile lamentarsi, ed è facile blaterare e farneticare, specialmente dopo qualche bicchierino con gli amici, dove nessuno ti mette in discussione. Questo è quello che succede con i repubblicani, la loro radio e tutti i media tendenti alla sfera dei conservatori, dove non viene messo in discussione nulla, e succede ugualmente a sinistra. Io penso ad una sfida più grande, magari è proprio questo il nostro compito: assicurarci di mantenere le domande fondamentali sempre in primo piano. Noi come band lo facciamo e penso che un sacco di altre persone nel mondo ci stiano pensando, ma il volume con cui queste conversazioni si fanno ascoltare nel mondo, e soprattutto negli Stati Uniti, è un volume a livello basso, mentre quello che viene comunicato a volume altissimo nei media è una massa di spazzatura e stronzate, gossip sulle celebrità o politici che parlano di questioni insignificanti: perfino in politica stanno diffondendo stronzate che servono solo per distogliere l’attenzione da quello che sta accadendo. Ma l’America è un Paese in guerra, probabilmente responsabile di centomila iracheni morti, delle loro vite, delle loro risorse. Il loro modo di vivere è peggiore di prima che arrivassimo noi, e pensa che quando siamo andati laggiù loro soffrivano a causa di sanzioni e di Saddam Hussein, un leader orribile. Ora, con l’occupazione statunitense, è ancora peggio».

La situazione potrebbe degenerare in una guerra civile?«Sì, e tutto questo solo perché vogliamo controllare quella parte di mondo e avere le loro risorse, per poi limitare Paesi come la Cina e l’India e avere il potere definitivo anche su di loro. Ma se sommi tutte queste cose, il nostro Paese è stracolmo di cazzate: tutti pensano e parlano solo di cazzate, show televisivi e celebrità, la reality TV che mostra tutti i lati peggiori della natura umana in competizioni meschine, e i canali che si fanno in quattro per trovare persone e sfruttare il peggio dell’essere umano. In un certo modo stanno dando in pasto alla gente questa roba per non farli pensare a quello che sta realmente accadendo, perché non ci possiamo abituare ad essere un Paese in guerra. È un’eredità orribile, e io non voglio lasciarla a mia figlia».

Vote for Change è stata una grande campagna per Kerry, ma alla fine, con la vittoria di Bush, avete perso. Che significato ha avuto organizzare un evento simile, creare e rafforzare nuovi legami nel mondo della musica? L’idea che puoi far sentire la tua voce e fare la differenza assieme ad altri? «Questa iniziativa ha mantenuto viva l'analisi sociale, ha garantito che artisti e scrittori possano avere un ruolo nel processo, mettendo uno specchio di fronte alla società. Non è stato facile perché c’erano persone molto potenti nel mondo dei media che volevano fermare tutto. Una delle strategie dei repubblicani è criticare non la questione sulla quale la persona discute, ma la persona in sé. Dicono: “Perché dobbiamo stare ad ascoltare attori di Hollywood?”, come se fossimo tutti l’élite della California. Noi non viviamo ad Hollywood, non facciamo parte di quel mondo, e quindi credo che se non si fosse intrapresa quella battaglia, lo scenario futuro sarebbe stato ancora meno fertile per lasciare che anche attraverso l’arte si produca analisi sociale».

Quindi anche se la battaglia è stata persa, è servita per stabilire una sorta di nuova fiducia?«Assolutamente. E ci ha anche fatto mettere in discussione affermazioni che la gente faceva sempre prima delle elezioni, come: “Noi continuiamo a sentirci più sicuri con George W. Bush”; ma dopo le elezioni ci si è resi conto che quello che dicevamo era giusto. Come con l’uragano Katrina: quanto si sono sentite sicure quelle persone? Quanto bene ci si è presi cura di loro in quanto americani? È come se tutte queste cose si siano rivelate da sole e sono davvero contento che là fuori ci siano state voci che cercavano di informare la gente e di dargli le notizie necessarie per fargli prendere delle decisioni. Guardando indietro non potranno dire: “Perché non lo sapevamo?”. In realtà lo sapevano e un sacco di gente ora dice: “Ok, adesso capisco”. E le informazioni iniziano ad avere un senso. Sai, con le canzoni è la stessa cosa. Quando avevo sedici anni suonavo sempre una canzone di Pete Townshend, ma l’ho capita solo quando ne avevo trentadue. Era “How Many Friends Do I Really Got”, e ho iniziato a sentirla in maniera completamente differente solo quando ho raggiunto la stessa età in cui Pete l’aveva scritta».

Succede lo stesso con le tue canzoni? Ti succede di scoprire cose nuove nei tuoi vecchi pezzi?
«Beh, forse sì. Alcuni passaggi possono diventare più chiari perché nella tua vita ti stanno accadendo determinate cose».

Hai parlato più volte della celebrità e delle cazzate di Hollywood. Da qualsiasi lato tu lo voglia guardare, sei un personaggio noto. Ti ha mai dato fastidio in passato? Hai imparato ad affrontare meglio la situazione nel corso degli anni?
«Oggi è tutto più limitato, ma c'è stato un periodo in cui i Pearl Jam arrivavano nei salotti della gente, grazie a video e trasmissioni televisive, eravamo molto più visibili. Mi ricordo che ci causava parecchi problemi nella sfera personale. Ognuno di noi, a modo suo, lo sentiva un po’ impegnativo, sia nelle relazioni con gli altri, che con i vicini o gli amici. Ci abbiamo messo un po’ di tempo ad abituarci e ci ha aiutato il fatto che quello era il livello massimo di notorietà al quale potevamo arrivare. Ma da quando quel livello è stato abbassato, la fama è diventata qualcosa a cui ora neanche penso e mi aiutano molto cose del tipo sparire nella natura per lunghi periodi di tempo. Lo faccio sapendo che sono molto fortunato ad avere questa possibilità, anche se in realtà uno lo potrebbe fare anche non avendo nemmeno un soldo, soprattutto se ti è capitato di nascere su un’isola. Diverso se sei nato nel Bronx. Ma sento che sono abbastanza consapevole di quello che significa essere un personaggio celebre».

Ritorni a suonare in Europa, per la prima volta dopo sei anni, dall’incidente di Roskilde. Che cosa ti ha fatto prendere questa decisione e hai già deciso se suonerai anche in Danimarca?
«È la prima volta da allora. Dovrei già sapere il programma, ma in realtà non lo so, ci stiamo lavorando. Quello che penso è che è stata dura. Quello che è successo negli Stati Uniti negli ultimi sei anni ha reso difficile rimanerci e quindi anche solo passare un lungo periodo di tempo in America Latina o Canada ha fatto bene a tutti noi della band. È molto difficile non perdere l'oggettività in un Paese come gli Stati Uniti, perché è troppo forte l’influenza dei media. I cittadini degli Stati Uniti non sono cittadini del mondo, sono cittadini degli Stati Uniti. È importante uscirne, uscire da questo continente e vedere come quest’idea che ci danno in pasto di essere la più grande nazione del mondo in realtà non sia vera. Certo, gli ideali sono buoni, e anche quello che sta scritto nella Dichiarazione d’Indipendenza, c'è un documento incredibile, per la libertà e i diritti umani, ma è un mito, e lo capisci quando vai all’estero. Perciò penso che non vediamo l’ora, per vedere oggettivamente da dove veniamo».

Dopo il Festival di Roskilde hai detto che non avreste mai più par tecipato ad un festival. Ora però suonerete al festival di Reading. Senti di poter controllare una situazione del genere?
«Sì, adesso sì. Nei mesi scorsi abbiamo fatto dei concerti gratis molto grandi in America Latina ed è andato tutto molto bene perché controllavamo la sicurezza».

A questo punta squilla il cellulare di Eddie e parte la suoneria: “Going Mobile” degli Who.

Edited by pastare - 16/11/2006, 15:57
 
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Grazie, per la traduzione, a Flipside, Unkept Hope & a Walty.

INTERVISTA AI PEARL JAM GIUGNO 2006
Hey eddie, è appena passata la mezzanotte nella sonnecchiante cleveland, e ed vedder, con in mano una valigia e addosso una stretta giacca di velluto, si sta dirigendo verso l'R.C. hotel. Qualcuno urla il suio nome, lui si gira.
Un giovane repubblicano esce dall'oscurità ed attacca "bush 2008 bush 2008!!!... Jeb (il fratello del coglionazzo n.d. flip) è candidato; poi il ragazzo provoca vedder - uno dei principali promotori del v.f.c tour - in attesa che lo stesso perda le staffe. Vedder lo fissa per un attimo. Poi mormora "Ok man" ed entra.
Il seccatore sembra abbattuto...In ascensore vedder ride mostrando fossette sotto la sua barba morrisoniana: "se cercava di farmi incazzare, non ha funzionato... forse era un gran fan di gavin rossdale??
Qualche anno addietro eddie avrebbe reagito alle provocazioni. Era il vedder che riceveva un grammy con le gentili parole "non ha alcun significato"... quello che gridava ad un fan di lasciarlo in pace davanti ad un reporter... Ma ora ha 41 anni. E nei 10 anni passati da quando si acciliava su alternative nation ha sviluppato un forte senso dell'humor. L'amore con la modella J.M. e la figlia olivia- che ha i suoi stessi occhi blu- non hanno fatto del male. E ci sono altre ragioni dietro la pace interiore; Gossard:" eddie è in un momento di pace mai visto prima".
Lo stesso vale per i PJ, nonostante o forse proprio per il fatto che negli ultimi 10 anni non abbiano fatto altro che allontanarsi dalla loro fama. Rifiutati video e apparizioni tv, lanciato una scontata e autolesionista battaglia verso ticketmaster: realizzato una serie di album introspettivi a partire da no code. Hanno girato in tour senza sosta e son diventati una delle grandi band da stadio che ha attirato un seguito stile grateful dead per concerti-maratona sulla scia di springsteen, who e u2. Ma per i non fans la band è sembrata scomparire... non si è mai sciolta, sebbene mike ammetta di esserci andati vicini qualche volta.
Ora i Pj reclamano il loro posto in trincea... sono freschi, affamati e carichi secondo il capo bmg C.D. che da poco ha procurato loro il secondo contratto major della carriera. In maggio hanno rilasciato pearl jam, disco dalla spiccata energia punkrock anti-bush. Universalmente acclamato (hey hey andiamoci calmi... n.d. flip) come il migliore da vitalogy ed il primo da ten a contenere inni " è come se avessimo consegnato il compito in tempo, ottenendo tutte A e B... ma non abbiamo alzato la mano e risposto in classe. Lo ha fatto il disco."
Ed il mondo ascolta: lp ha passato un mese in top20, ed il singolo "ramones incontrano gli who" wws èstato un successo portando la band nelle radio. La band mostra una inedita voglia di promozione (snl e dls) per far sentire la propria voce politica."è un momento critico per la nostra democrazia... noi rappresentiamo l'america... abbiamo la stessa influenza di r.Limbaugh. E se lui "parla" attraverso la sua piattaforma, noi dobbiamo fare lo stesso"
Stare coi pj per 5 date in maggio durante la prima parte del tour americano, è com ritrovarsi con i vecchi compagni del liceo; non li hai visti per anni, ma sei sorpreso dal fatto che sioano cambiati senza che tu abbia potuto vederlo.
In contrasto con l'immagine di un tempo (privi di humor, paranoici, sempre sul punto di implodere) ora sembrano allegri e rilassati. Come molti artisti in giro da tempo, non ne passano molto assieme fuori dal lavoro. "ci concediamo spazio a vicenda... perchè in tour sei tutto il tempo l'uno di fronte all'altro" di matt
Ma i ragazzi sono a loro agio da permettere ad un estraneo di seguiri le loro prove e non mollarlo quando salgono/scendono dal palco. Si scambiano "pugni" di incoraggiamento prima di ogni show e la seconda sera mike ne da uno anche a me
Eddie vede la band come esempio di democrazia funzionante: un po' è dovuto all'essere insieme da più di 15 anni che trasmette alla gente la possibilità di una cosa simile...
Ma i pj sono anche dittatoriali; anche Gossar, fondatore della band e autore di buona parte della musica nei primi anni, si è arreso di fronte al ragazzo che a volte chiama "ed ved". " ad un certo punto eddie ha capito di essere la figura centrale della band" dice un gossard i cui capelli corti e occhiali farebbero pensare ad un impiegato di siti internet "se cantassi come lui e fossi capace di creare la stessa energia, vorrei la stessa possibilità di dire "questo non mi sembra ok". Potrebbe fare molte altre cose, ma ha scelto i pj... è fantastico farne parte.


Backstage alla grand rapids arena, Michigan, mentre a pochi metri una sfida a ping pong impazza, vedder ed io sediamo su sedie ripiegabili e guardiamo lo schermo di un macintosh. I power chords di life wasted escono dalle casse. Stiamo guardando l'appena realizzato nuovo video della band, il primo in cui appaiono da jeremy, 1992. Vedder guarda in silenzio, tenendo il ritmo col piede.
Il video molto artistico non è una buona scommessa per la classifica di trl. Esplora i temi della canzone, morte e rinascita, attraverso la messa in scena di sculture dei membri della band sottoposte ad esotiche forme di abuso – sono bruciati vivi, immersi in acqua ed infestati da vermi ed insetti. In mezzo a tutto ciò alcuni momenti di eddie che canta e la band che suona. Mentre il video finisce, chiedo se sia stato realizzato al pc. Eddie sembra prenderla male, spiegando che un artista multimediale di nome f. apodaca ha creato le figure nel corso di 6 mesi filmando vere sculture. I ragazzi hanno dovuto prendere impronte delle loro teste e vedder ha sacrificato nel processo le sue ciglia; “i libri medici dicono che dovrebbero tornare”, dice mostrando il suo attuale look.
Per fare il video la band ha dovuto superare la sua convinta avversione a tale forma; quando jeremy vinse come video dell'anno, vedder sentì che il nome del premio dovesse essere miglio pubblicità per il tuo cd. “volevamo uscire da quel giro”, aggiungendo con un sorriso “venivamo da una posizione simile a quella dei nativi d'america, che credono che nel momento in cui ti fanno una foto, ti viene succhiata una oparte dell'anima”.
Durante la prima ondata di fama, vedder aveva diverse ragioni nel credere che ben più della sua anima era a rischio: “c'erano diversi problemi nei quali non mi ero mai ritrovato” mi rivela un pomeriggio nella sua stanza al 4 seasons di Chicago, mentre fuma una sigaretta spirit e allo stesso tempo, come se per riparare il danno, sorseggia del tè. E' vestito in uno stile definibile come “ “scongelato uomo delle caverne giunge”: maglietta, pantaloni in velluto e quello che potrebbe essere l'ultimo paia di doc martens del nord america. Sul suo grembo il suo inseparabile compagno, un notebook nero, con un adesivo del simbolo mod in onore al suo amore per gli who, dove tiene i testi in via di definizione.
Vedder continua a parlare lentamente: “qualcuno con grossi problemi mentali e sotto effetti chimici ha finito col prendermi di mira e pensare che tutte le canzoni fossero scritte su di lei e che io fossi il padre dei suoi 2 figli, e che fossero il frutto di uno stupro, e che io fossi gesù… e che gesù stupri. Tutti a dire la fama, bla bla bla…non questa non è fama, questa è una minaccia fisica alla tua vita.” Vedder non entra nei dettagli, ma sembra che il problema abbia raggiunto l'apice tra il '94 e il '96. Lui e beth l. hanno messo nuove recinzioni atto alla loro casa di Seattle e adottato una security 24 ore su 24 chiedendo che la epic aiutasse a pagarla. “se volete dischi da me, dovete sostenermi pagando la mia protezione” e poi rivela “una donna guidò la sua auto a 50 miglia l'ora contro il muro di casa mia quasi ammazzandosi”.
Questa paura – testimoniata nel pezzo lukin da no code del '96 (trovo mia moglie/ chiamo la polizia/ oggi il lavoro sembra interminabile/ alla fine sento che quel pazzo stava acquistando una cazzo di pistola) rese difficile per eddie uscire di casa contribuendo alla sua nomea di recluso scorbutico. Non dice cosa sia stato della donna, se non che è viva e che non ci sono procedimenti legali contro di lei “sarà sempre un problema”… eddie cambierà poi casa, fuori Seattle, un posto del quale non fa il nome.
Attorno al '96 vedder decise che ne aveva abbastanza della fama, dei pezzi di successo – nello studio potenziali successi erano visti come minacce alla sua vita. La band rifiutò le interviste, eddie iniziò ad eliminare l'elemento orecchiabile delle canzoni, il che potrebbe essere il motivo per cui gran parte del materiale pop può essere trovato sulla raccolta lost dogs “ sentivo che ancora un po' di successo e noi saremmo stati distrutti, le nostre teste esplose come chicchi d'uva”.
… è facile dimenticarsi di quanto pj, nirvana ed il concetto di giunge fossere grandi nei primi ‘90s. Ten ha venduto più di 12 mln di copie, la moda giunge apparve su vogue e la musica del gruppo dominava le radio pop.
Ora i pj sono rimasti soli a rappresentare quel periodo, superando i pari (soundgarden, il cui batterista suona ora nei pj), i rivali (nirvana) e gli imitatori (creed) allo stesso modo. Vedder è restio sul tema:”questa è la roba di cui non voglio parlare, sono cazzate… dovevi esserci” mi dice facendo un tiro di sigaretta “è stato fottutamente intenso: si trattava di veri sentimenti provati da vere persone e si stava portando velocemente il tutto a livello di massa rendendolo uno scherzo. E noi non eravamo uno scherzo”.
Senza video e con poca altra promozione, il secondo album vs vendette cmq 7mln di copie. Il successore 5 e no code sfiorò il platino. Non tutti erano eccitati. “quando abbiamo fatto il passo indietro, io mi sentivo come: aw, amico…” dice mccready “ero un po' spiazzato, volevo continuare a fare video e quella roba… abbiamo la possibilità, non bruciamola”
Ma ora i membri de gruppo sono d'accordo che quella fosse la scelta giusta… “alla fine non l'abbiamo bruciata, siamo ancora in giro; forse abbiamo perso qualche fans e mi dispiace ma siamo sopravvissuti come band. Gossard: “ a posteriori è stato fantastico, quello che dovevamo fare. Ed ci aveva preso in pieno. Se avessimo ascoltato l'industria o i nostri egos tutto sarebbe andato giù per lo scarico del cesso”
Cobain ebbe ancora più grossi problemi col successo… e nel suo caso l conseguenze più definitive. Spese diverso tempo a discriminare i pj sulla stampa, memorabile la sua accusa di essere dei pionieri di un nuovo genere “la fusione di rock del cazzo, musica indipendente e musica commerciale”. “credo non abbia mai ben inquadrato la band” dice vedder seduto su una sedia una sera “ma credo che se fosse sopravvissuto lo avrebbe fatto. Sono parole grosse, ma credo siano vere”
Vedder guarda indietro “mi manca… molte volte, quando ci si passa una chitarra , attorno ad un falò o roba così, penso che starebbe benissimo lì con noi. Penso a lui di continuo.”
Vedder e cobain si riavvicinaro come risaputo il 10 settembre '92 agli mtv music awards “ballammo lentamente sotto il palco sulle note di tears in heaven di clapton. Stavamo ballando sul pavimento di una palestra sebbene si trattasse di un ballo del settimo grado”
Provi rancore?? (credo sia questo il significato di cop a feel)
No, rispettavo kurt
Chi comandava??
Bella domanda. Questo è il punto… nessuno.

Mike McCready fissa attraverso i suoi occhiali dalla montatura arancione il soffitto della rock'n'roll Hall of Fame di Cleveland, a cui sono appese varie auto coperte di graffiti. Sono parti della scenografia dello Zoo tv tour degli U2. “Abbiamo aperto per gli U2 in Europa in quel tour”, dice McCready. “Il pubblico ci odiava!” E' sabato pomeriggio, e siamo in internet per comprare dei biglietti.
McCready, i cui assoli fluidi e un po' blues contribuiscono a quel “cock rock” disprezzato da Cobain, è un ex alcolista di buon carattere che correva spesso sul palco nudo. Al tempo delle sue notti folli, gli altri della band lo trattavano come un fratello minore, ma il suo ruolo è diventato via via più importante: McCready ha scritto la nuova epica “inside job”, e per questa volta Vedder canta i suoi testi.
Entrando nella stanza principale del museo, ci ritroviamo di fronte, senza preavviso, una grande bacheca dedicata alla scena di Seattle degli anni '90. Dentro, in mezzo ad altri artefatti, ci sono i resti di una stratocaster spaccata – secondo la targhetta apparteneva a un certo Mike McCready. “Non avevo idea che fosse qui”, dice, con l'aria un po' sbalordita.
In pochi attimi Mike diventa involontariamente parte dell'esibizione, con i fans che si mettono in fila per fare foto. Intanto, una voce registrata racconta la storia della scena; ci informa che Andrew Wood, il vistoso cantante dei Mother Love Bone, è morto di overdose il 19 maggio 1990.
Una guardia di sicurezza ci sgrida perchè stiamo facendo delle foto. Mentre usciamo, McCready ricomincia da dove si è fermata la voce narrante, tornando con la memoria alle prime jam con Gossard, l'ex chitarrista dei Love Bone, poco tempo dopo la morte di Wood. All'epoca non sembrava certo materiale da Hall of Fame. “Eravamo soltanto io e Stone nella casa dei suoi”, dice. “Lui aveva questi riff. Abbiamo lavorato a lungo su “alive”, “even flow” e “black”, solo io e lui.
Gossard aveva cercato McCready dopo averlo visto improvvisare “Couldn't stand the weather” di Stevie Ray Vaughan a una festa. McCready a sua volta, incoraggio' il suo nuovo compagno di band a riunirsi con il bassista dei Love Bone, Jeff Ament. Ament, un candido skater che veniva dal Montana, aveva iniziato un'improbabile amicizia con Gossard nei Green River. Il gruppo, che comprendeva anche il futuro leader dei Mudhoney Mark Arm, era un incrocio tra punk e metal - Gossard era un fan dei Van Halen, Ament preferiva i Black Flag. La band ha contribuito a creare il suono heavy e cupo conosciuto come grunge.
Due sere prima, in un ristorante di chicago, Ament, che è ancora uno skater – e si veste ancora da skater, porta una maglietta con la testa di una capra (?!!) in un pentagramma – si siede in un separè di pelle. Mentre cominciamo a mangiare, Ament fa risalire la rottura dei Green River a un concerto di apertura per i Jane's Addiction a L.A.: Gossard e Ament erano rimasti impressionati dal rock pomposo, tribale di Perry Farrel mentre Arm – che ha poi continuato a definire il suono grunge con la band indie dei Mudhoney – era rimasto disgustato da quello che considerava presunzione da stadio. “Quando abbiamo visto i Jane's Addiction ci siamo detti, ‘Questo è quello che vogliamo fare'”, dice Ament.
Dopo la morte di Wood, Gossard voleva una band un po' più “dark”. Alla fine entro' in studio con McCready, Ament e il battersista migliore della città, Matt Cameron. E' là che hanno buttato giù la versione strumentale di canzoni come “Even flow” e “Alive”. Il demo arrivo' in qualche modo a Eddie Vedder, un surfer di San Diego impiegato in un distibutore di benzina, che aveva da poco rotto con la sua band, i Bad Radio.
La leggenda vuole che Vedder abbia scritto i testi delle canzoni tutti in una volta, mentre surfava. Quella storia, mi dice lui nella sua stanza d'albergo a Chicago, è “vera al 100%”. Ma ammette che un altra storia che si sente spesso è meno attendibile: che il nome Pearl Jam deriva dalla bisnonna di Vedder, Pearl, che aveva sposato un indiano e faceva sempre marmellata arricchita con vari allucinogeni. La sua bisnonna si chiamava davvero Pearl. Il resto, invece, “sono solo stronzate”.
Quando vengono a sapere dell'ammissione di Vedder, Ament e Gossard sembrano sollevati. Raccontano il vero – seppur meno romantico – racconto dietro al nome della band. Mentre se ne stavano in un ristorante di Seattle alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa per rimpiazzare il loro nome originale, Mookie Blaylock (ispirato dalla star dell'NBA), Ament se ne usci' con “pearl”. La band non decise la seconda parte del nome fino ad un viaggio a New York nel 1991 per firmare con la Epic. Gossard, Vedder e Ament andarono a veder suonare Neil Young al Nassau Coliseum. “Suono' tipo nove canzoni in tre ore. Ogni canzone era come una jam di 15, 20 minuti”, dice Ament. “E cosi' ‘jam' è stato aggiunto al nome. O almeno questo è quello che ricordo io.”
Le luci della Van Andel Arena di Grand Rapids si accendono come un'alba improvvisa quando Gossard si lancia nel tortuoso riff di “alive”. Vedder assume una posa familiare, stringendo l'asta del microfono con entrambe le mani come se fosse in pericolo di volare giù dal palco, e inizia a cantare, “Son, che said, have I got a little story for you...”
Alive è, con qualche piccola differenza, la storia di Vedder. Quando aveva diciassette anni sua madre gli disse che Peter Mueller, l'uomo che lui pensava fosse suo padre – e che odiava – non era affatto suo padre. Il suo vero papà era il primo marito di sua madre, Ed Severson, un ex musicista lounge (?) morto molti anni prima di sclerosi multipla. Vedder, che da allora ha usato il cognome di sua madre, aveva quattro mesi quando sua madre e Severson avevano divorziato, e lui era cresciuto conoscendolo come unj amico di famiglia.
Partendo dalla realtà, il narratore di “alive” allude a una relazione incestuosa con sua madre. “Non c'è stato nessun incesto nel mio caso”, dice Vedder. “Ma gente che conosceva mio padre – donne – venivano da me e mi guardavano in un modo che non crederesti mai. Mi guardavano perchè ho il suo stesso viso e a quel tempo lui era morto da almeno dieci anni. E quindi non riuscivano a staccare gli occhi da me. E ho visto anche mia madre farlo, mi guardava e basta.
Vedder ha cominciato a cantare a sei anni – riusciva ad eseguire tutte le note alte di Michel Jackson nei vecchi dischi dei Jackson 5. “Quando ho cambiato la voce, mi dicevo, ‘wow, tutt'a un tratto sembro James Taylor'”, ricorda Vedder. Da allora ha ascoltato una cassetta del suo vero padre che canta canzoni di Gordon Lightfood; lo stile è più raffinato, ma Vedder sente qualcosa di familiare in quella voce.
Sul palco a Grand Rapids, Vedder guarda le migliaia di fans con i pugni alzati e aggiunge ad “alive” parole che non sono nella versione registrata: “siamo tutti, siamo tutti ancora vivi!” Poi conclude, con una divagazione mentre la band suona a tutto volume, “Lasciate che ve lo dica, non è facile”.



Eddie Vedder cerca di farmi ubriacare. Siamo nella sua camera d'albergo dopo lo show di Cleveland. Apre una Bud (sarebbe una Budweiser...) con il suo accendino e me la passa -- prima che la finisco, me ne passera' un'altra. Vedder, come al solito, si e' gia' scolato una bottiglia di vino rosso sul palco e di conseguenza beve piu' piano ora, con una Coors (un altro tipo di birra) in mano.

"A dire la verita', provai a fare un po' di concerti senza bere", dice piu' tardi riguardo la sua abitudine. "Ma hai presente come i baristi hanno un drink qua e la mentre i cameriere non possono? Mi sentivo piu' come un cameriere -- che stavo solamente lavorando." Vedder fumava erba con frequenza, ma non l'ha piu' toccata dalla nascita di sua figlia. A un certo punto ha avuto anche una "fase Ecstasy" e ha perfino cercato di creare musica techno. "Ascoltavo tutta questa roba mentre facevo uso di Ecstasy. Ma mi chiedevo, 'la scrivono mentre fanno uso di Ecstasy?' Decisi che l'unico modo di farlo e' prendere l'Ectasy e poi scrivere la musica Ecstasy" dice ridendo. "Non funziono'. Ma mi sono divertito con l'Ectasy."

Nel backstage prima del concerto a Cleveland, mi chiede, "sei pronto a stare sveglio fino a tardi?". Ero pronto. Vedder decide di mettere della musica adatta e scompare nella sua camera da letto. Dopo una breve pausa, il suono del nuovo album degli Strokes riempie la stanza. Si scusa dicendo "ovviamente ho roba molto piu' strana che gli Strokes, ma questo e' cio' che avevo a portata di mano."

Per uno che ha passato anni dribblando la stampa, Vedder e' una gran bella intervista -- affascinante e specifico. Quando si immerge in un aneddoto la sua voce, bassa e risonante, e' quasi ipnotica. All'inizio dell'intervista, decide di usare un piatto come porta ceneri e accende la prima delle molte American Spirits che saranno fumate quella sera.

Gli chiedo di "Life Wasted", nella quale canta "l'ho affrontata, una vita sprecata/non tornero' mai piu'." Chiude gli occhi mentre parla di come la testimonianza del funerale di un amico possa aiutare a "capire come la vita sia un regalo. Quando te ne vai dal funerale, la strada che segui e' importante come qualsiasi altra strada che percorrerai nella tua vita. Hai un nuovo senso di apprezzamento per la vita. E credo che questo sentimento ti puo' durare per la giornata, per la settimana, ma poi le cose tornano al normale e cominci a vedere il vivere, il respirare, il mangiare come cose che si sono dovute. Credo questa canzone sia li per ricordarti, 'questo e' il sentimento.' "

Vedder aveva in mente un amico in particolare quando scrisse la canzone: "la verita' e' -- e' una questione delicata e questo e' un rapporto intimo e delicato. Lo dico. Fanculo. Dritto per dritto. Meta' dell'album e' basata sulla perdita di un uomo che si rivelo' il miglior amico che ho mai avuto su questo pianeta. E' questo fu Johnny Ramone." Tutto a un tratto, i tempi e le potenti corde che dominano l'album Pearl Jam hanno una spiegazione.

Fu un'amicizia strana: il chitarrista dei Ramone, che morì il 15 Settembre, 2004, -- circa un mese prima che i Pearl Jam iniziassero a registrare il nuovo album -- era fortemente repubblicano e, secondo molti, non il tizio piu' caloroso del mondo. "Ridevamo pensando che io lo rendevo un uomo piu' buono e che lui mi faceva diventare piu' stronzo," dice Vedder. Vedder, insieme al chitarrista John Frusciante dei Red Hot Chili Peppers, Vincent Gallo e Rob Zombie, passo' ore a casa di Ramone, dove lui gli faceva sentire musica (sul jukebox, non sulla chitarra) e vedere filmini da shows con Gene Vincent dei Dead Boys. "Eravamo gli studenti di Johnny Ramone, per sempre legati," dice Vedder. "Non ho mai provato la perdita di una persona con la quale parlavamo così frequentemente, con tale intensita' e intimita'."

Ma ad aiutare Eddie nel risolvere il dramma centrale della sua vita fu un altro celebre amico. La madre di Vedder si trovava nel bel mezzo di un doloroso divorzio da Mueller (fate l'amore con il sapore!) quando disse ad Eddie, a quel tempo diciasettenne, la verita' riguardo i suoi genitori. Vedder e Mueller erano gia' in conflitto -- a un certo punto, si dice, Mueller spinse Eddie giu' per le scale. (Mueller lo nega.) Da ragazzino, mi dice Vedder, curava i suoi dolori dovuti a questo rapporto andando in un parco con la sua chitarra e cantando una canzone di uno dei suoi eroi, Bruce Springsteen -- "Independence Day,", una storia della divisione fra un padre e suo figlio : "non c'era modo di contenerci entrambi in quella casa." Nel tour Vote for Change del 2004, Vedder finalmente si avvicino' personalmente a Springsteen.

Una notte, Vedder e Springsteen -- che notoriamente riuscì a risolvere i problemi con suo padre grazie alla la musica -- passarono del tempo insieme su un tetto di Manhattan, bevendo tequila. "Parlavamo di politica e poi entrammo nel discorso di politica familiare, una serie di esperienze che ci accomunava. E' stata una conversazione molto intensa," dice Vedder, in maniera contemplativa. "Mi ha esposto ad alcune verita' che lui e' riuscito ad accettare in maniera sana, mentre per me erano concetti nocivi. Mi ha aiutato a curare alcune cose con le quali convivevo da tempo."

Quella notte, Vedder racconto' a Springsteen di quando suonava "Independence Day" e come la sua musica lo avesse cambiato. "Mi hai aiutato come voce che veniva da un vinile,", gli disse. "Ora mi hai aiutato come un essere umano davanti a me."

Poco piu' tardi, dopo la conversazione con Springsteen, Vedder ando' al matrimonio di uno dei suoi fratelli. Lì, venne faccia a faccia con il padrigno per la prima volta dagli anni '80. "Quando finalmente ho dovuto incontrare di nuovo quel tizio, Bruce e' stato quello che mi ha dato la giusta' mentalita' per affrontare la situazione," dice. "Ho tre fratelli piu' giovani -- se loro erano condizionati dal fatto che non avevo un rapporto con lui, era abbastanza per perdonare e risolvere le cose. Non volevo che loro dovessero essere divisi fra noi due."

Ci spostiamo su un altro argomento duro: la fine, nel 2000, del matrimonio di Vedder con Beth Liebling, con la quale fu insieme dai tempi adolescenziali. Non spiega il motivo per cui si sono lasciati, ma ammette che fu devastato. Il divorzio accadde nello stesso periodo della piu' grande tragedia della carriera dei Pearl Jam: nove giovani fan morirono travolti il 30 Giugno durante il loro set al Roskilde Festival in Danimarca. "Puoi immaginre in che posizione vulnerabile mi trovavo," dice al riguardo. "Mi ricordo che non c'era via di uscita. Ascoltavo The Who by Numbers, e c'e' una frase in 'Slip Kid' -- "Non c'e' modo semplice per essere libero.' Pensavo, 'non posso essere piu' d'accordo.' "

Poi Vedder venne a conoscere Jill McCormick. Era una modella, una professione che Vedder furiosamente critico' nella traccia tratta da Vitalogy, "Satan's Bed": "Esempi così belli, piccola puttana magra/modella, role model, rotola un po' di modelle nel sangue/attacca un po' di carne così ci assomiglieranno." Ride quando gli chiedo se ora chiede scusa per quel testo. "Guarda, la persona di cui mi sono innamorato, per caso aveva questo lavoro. Ci furono un po' di giorni quando pensai, 'Wow, tutto cio' sembra contradditorrio.' Dovette passare un test piu' difficle che innamorarsi di qualsiasi altra persona. E passo'."

Ma prima del nuovo rapporto, mentre Vedder si disperava ancora per Roskilde e il suo divorzio, il gruppo ando' avanti con un tour. I Sonic Youth aprirono, e la figlia di sei anni, Coco, di Thurston Moore e Kim Gordon venne con loro. "Coco mi regalava disegni, giocavamo a ping pong. Coco mi ricordo' di aprire il mio mondo, mi permise di non essere lo stronzo di cui avevo tutti i diritti di essere. Ho pensato dopo Roskilde, 'Ok, questa e' la mia occasione, posso essere quello stronzo per sempre.' Coco mi ha mostrato la luce."

"E ora ne ho una mia." Mi mostra alcune foto adorabili di Olivia Vedder, nata l'11 Giugno 2004. Sono quasi le 5 di mattina. Vedder scuote la testa e mi guarda negli occhi. "Roger Daltray ha una cosa che dice sempre: 'Sii fortunato.' Ci ho messo un po' per arrivarci -- ma ho seguito il suo consiglio."
 
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view post Posted on 19/12/2006, 19:01
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"Un giorno ci capita di leggere un'intervista che Kurt Cobain aveva rilasciato ad un giornale locale in cui diceva: ‘I Pearl Jam fanno schifo, sono davvero un gruppo che fa canzoni di merda...’"

Che giornata incredibile!». Stone Gossard ha ragione: guarda fuori dalla finestra del quindicesimo piano che ci ospita e stenta a credere a tutta la luce ed al sole che oggi inonda Seattle, sbucato fuori stamattina dopo tre giorni di gelida pioggia orizzontale sferzata dal vento del Pacifico. E come lui, nemmeno i seattlers, gli abitanti della città, credono ai loro occhi e si agitano come ragazzini per le strade della metropoli, intenti a non farsi sfuggire nemmeno un raggio di calore. Ecco perché mentre si raggiunge l’albergo per l’intervista è facile incontrare persone con piumino da neve e pantaloncini corti, ragazze con lunghi vestiti leggeri ed estivi, qualcuno addirittura in canottiera, anche se non faranno più di 5 gradi ed il Pacifico non smette mai di ricordare la sua davvero vicina presenza. Insomma, sì, è pieno inverno, ma per Seattle oggi è festa; c’è uno dei 100 giorni di sole all’anno (gli altri 265 piove o/e nevica) e non c’è bisogno di pensare ad altro. O forse sì. Perché Gossard ha ragione anche per altri motivi, visto che questo è proprio l’incredibile giorno in cui i Pearl Jam tornano a rilasciare interviste dopo un silenzio stampa durato qualcosa come cinque anni. Un periodo assai lungo, soprattutto per i giornali assetati di notizie, ma anche un tempo ricco di soddisfazioni per il quintetto cittadino, arrivato alla decisione di tagliare i ponti con i mass media dopo il successo epocale e lo stress gigantesco accumulato con Ten, il debutto. Un album dall’intensità incredibile, capace di proiettare immediatamente i Pearl Jam nei favori del pubblico mondiale e sotto la continua osservazione rompiballe da parte della stampa, con quell’accumulo di domande stupide e di inutili gossip che trascinò il gruppo ad una nutrita serie di drastiche decisioni: niente interviste, niente videoclip per promozionare gli album seguenti e, soprattutto, nessun contatto con la stampa, lasciando che fosse solo il colossale passaparola di un pubblico fedele a spingere in alto le vendite dei lavori successivi: a tutti gli effetti, l’unica pubblicità di cui hanno goduto Vs., Vitalogy e No Code. Ma le regole sono fatte per essere infrante, ed ecco così che l’arrivo del nuovo Yield, uscito il 3 febbraio in tutto il mondo, cambia lo stato delle cose e porta i Pearl Jam a radunare a Seattle una manciata di giornalisti venuti da tutto il mondo appositamente per sentire, parlare ed investigare sull’attuale condizione del gruppo. Ad aprirsi al microfono ci sono il chitarrista Stone Gossard, che abbandona la finestra e siede gustandosi un tè, ed un emozionato Jeff Ament, il bassista. L’arrivo di Eddie Vedder e Mike McCready è previsto per il pomeriggio, mentre il drummer Jack Irons è rimasto tranquillamente a casa in California.
Innanzitutto, perché siamo qui? Voglio dire, cinque anni senza fare interviste, promozione e tutte le cose che collegano i gruppi alla stampa. Ed oggi? Cosa è cambiato per i Pearl Jam?Ament: «Mah, volevamo presentare al meglio questo nuovo disco, nessun motivo specifico oltre a questo».
Gossard: «Potrebbe essere l’occasione giusta per ricordarci perché non abbiamo fatto interviste negli ultimi cinque anni e, magari, tornare a non farne più per i prossimi cinque a venire (ridono, nda)».
Ament: «Per ora abbiamo una fitta serie di appuntamenti con mensili, quotidiani, radio».
E fra loro c’è anche Rolling Stone? Ricordo che tre o quattro anni fa il giornale americano tentò di distruggere l’immagine di Eddie Vedder, accusandolo di essere un "falso" clamoroso...
Gossard: «Mah, non so se ci sono anche loro nella lista, ma certo noi non abbiamo problemi. La cosa allora prese una brutta piega soprattutto nella loro mente e, da una parte, posso anche capirli. Erano mesi che ci inseguivano per ottenere un’intervista, solo che capitarono in un periodo completamente sbagliato, non eravamo proprio nell’attitudine e nell’umore giusto per parlare con la stampa. Era una cosa che stavamo evitando in ogni modo. Beh, dopo una lunga serie di no, evidentemente loro si sono... arrabbiati. E non hanno trovato nient’altro da fare che ricostruire la vita privata di Eddie, specialmente quella del suo periodo pre-Pearl Jam, supportando la teoria di come lui avesse sempre cercato il successo ad ogni costo, e che tutto il suo personaggio fosse "finto alternativo" ed in realtà assetato di fama e soldi».
Ament: «Solo un tentativo ridicolo di far male a qualcuno».
Il motivo che ci porta a quest’incontro è l’uscita di Yield, il vostro quinto album. Segna novità sostanziali rispetto ai precedenti?
Gossard: «Sì, certo. E la più importante, quella che sentiamo più forte delle altre, è che stiamo crescendo notevolmente come band. Questo è certo. Voglio dire, sappiamo sempre di più come si fanno i dischi, quali sono i nostri tempi ed i nostri modi ideali di lavorazione. Stavolta è migliorata ancora di più la nostra capacità di essere band, di lavorare davvero tutti assieme. Si è sempre trattato di contributi individuali combinati fra loro, questa è sempre stata la base dei Pearl Jam. Ma in questo nuovo lavoro la cosa è stata ancora più intensa e profonda, abbiamo raggiunto una maggiore alchimia. Con Yield abbiamo alzato il livello della nostra intesa comune. Perché quello che ci preme di più, comunque, è sviluppare al meglio le nostre idee, fare buona musica e cercare di migliorare sempre come musicisti».
Beh, è strano sentirvi dire questa cosa del ‘miglioramento’ dopo che i vostri lavori hanno venduto oltre venti milioni di copie attorno al mondo...
Ament: «Sì, è vero. Ma è normale cercare sempre di crescere, no? O quantomeno è quello che noi tentiamo di fare. Insomma, i Pearl Jam non hanno obiettivi stellari da raggiungere, siamo già più che soddisfatti di quello che è successo alla band in questi anni... Ora ciò che ci riserviamo come ‘persone’ è soltanto provare a scrivere la miglior musica possibile, collezionare una serie di songs interessanti, lavorare per trovare ognuno il proprio sound migliore. Questo è ciò che ci interessa, il resto conta meno».
Vuol dire che non state progettando olive giganti e megaschermi da inserire sul palco nel corso del vostro prossimo tour?
Gossard: «Ah, ah... come gli U2, vero? No, non ci interessa, davvero. Così come non puoi spingermi a fare polemica con loro, perché non è la mia idea. Il fatto è che siamo tutti insieme dentro questo business, nel quale ci sono tante opzioni possibili fra cui scegliere. L’unica cosa che so è che a noi non interessa diventare grandi tanto quanto lo sono loro. Ci piace molto di più l’idea di rimanere una piccola comunità che fa musica, che viaggia ovviamente anche attraverso le difficoltà che sorgono all’interno di un gruppo, quelle dovute alle singole personalità, una lotta di idee dalla quale poi scaturisce sempre nuova musica. E, soprattutto, ci interessa continuare a comunicare con gli altri, col pubblico, e farlo solo a modo nostro, senza doverci per forza preoccupare di quanti biglietti vendiamo, di quanta gente compra i nostri dischi, degli stadi mezzi pieni o mezzi vuoti. Ma se altri hanno intenzione di fare questo e di vivere così, beh, liberi di farlo».
Ament: «Che comunque mi sembra una caratteristica propria dei gruppi in giro da lungo tempo, come la band di Bono oppure i Rolling Stones».
Ai quali avete fatto da supporto per tre recenti serate ad Oakland. Come è andata?
Gossard: «Bene, molto bene. Siamo sempre stati dei loro grossi fan, a Mike (McCready, il chitarrista, nda) quasi veniva un infarto per l’emozione... Sì, eravamo un po’ tesi, ma poi Charlie Watts, il loro batterista, è venuto nel backstage per conoscerci personalmente, ha iniziato a raccontare una serie di storie divertenti che sono capitate agli Stones negli ultimi tempi e tutto si è risolto serenamente e con molte risate».
Ament: «Sì, Watts ha fatto di tutto per metterci a nostro agio. Si è rivelata un’ottima persona, così come anche gli altri. Ci siamo divertiti molto con loro ed è stato anche interessante scoprirli nel privato, avevano tutti quanti le famiglie al seguito».
Gossard: «Comunque è andata bene anche sul palco. C’erano anche molti nostri fans, gente venuta lì apposta per noi, per vederci suonare».
Ament: «Dopotutto il nostro nome era scritto grande sul cartellone di presentazione».
Visto che di interviste non se ne è parlato per lungo tempo, la stampa mondiale ha comunque trovato spesso l’occasione per spettegolare sul vostro conto, appiccicandovi di tanto in tanto questo o quel nemico. Anche R.E.M. e gli stessi U2, fra gli altri, prima di scoprire che si trattava solo di balle. Ed allora ditelo voi: chi è che nel corso di questi anni si è veramente comportato come ‘nemico’ dei Pearl Jam?
Gossard: «Kurt Cobain! Davvero! Immagina che situazione... E’ successo all’inizio della nostra vita come band, eravamo assieme da poco più di sei mesi, credo. Comunque era il periodo in cui iniziavamo a suonare qua e là nei locali di Seattle, stavamo già pensando al nostro primo album, però non avevamo ancora trovato un contratto discografico. Bene, Kurt lo avevamo incontrato un paio di volte durante queste occasioni, all’epoca i Nirvana erano già famosi e stavano preparando il loro secondo album. Ma fra noi non c’era mai stato problema, anzi, sembrava proprio una situazione tranquilla ed amichevole fra due gruppi che fanno parte della scena, capito come? Finché un giorno non ci capita di leggere un’intervista che lui aveva rilasciato ad un giornale locale ed in cui diceva: ‘I Pearl Jam fanno schifo, sono davvero un gruppo che fa canzoni di merda...’. Immagina te come siamo rimasti. Insomma, c’è questa persona che tu ammiri come performer e che hai sempre seguito con interesse come autore perché è in grado di scrivere canzoni strepitose. E lui cosa pensa della tua musica? Che fa schifo! Io volevo morire».
Ament: «Credo comunque che in seguito abbia cambiato idea. Sono sicuro che negli anni successivi Kurt si sia ricreduto sul nostro conto. Alla fine eravamo diventati buoni amici e non credo che avesse mantenuto quella stessa opinione nei nostri confronti... Ma volevo anche dire che non c’è quasi mai un motivo per odiare al 100% un altro gruppo. Magari conosci la gente di un’altra band e trovi che il cantante è molto simpatico, ma il chitarrista è un completo imbecille. Cose così, come nella vita».
Voi vivete ancora a Seattle. Perché?
Gossard: «Che intendi dire?».
No, che so: qui piove 300 giorni all’anno, fa sempre freddo. Da buoni rockers, non sarebbe meglio trasferirvi alle Hawaii, dove fa decisamente più caldo?
Gossard: «Nah, non fa per me. È vero che noi siamo spesso in viaggio, sia come band che per nostro piacere personale, e forse questo ci aiuta nel vivere qui. Ma io adoro Seattle, è il posto dove sono nato e cresciuto, ed è bellissimo rimanere in casa tre giorni di seguito perché fuori piove che non puoi nemmeno azzardarti ad uscire. Certo, se piovesse per sei mesi di fila, credo proprio che cambierei idea! Ma è bello aspettare il sole che esce. Ti dà un umore che mi piace molto».
Ament: «E poi qui ci sono i Sonics, una delle squadre più forti dell’NBA».
Gossard: «Sì, ed anche ottimi ristoranti, buone gallerie d’arte, splendidi posti attorno alla città. Puoi sciare, fare immersioni e c’è il Pacifico ad un’ora da qui. Non saprei davvero dove altro andare».
I vostri posti di vacanza preferiti?
Ament: «La Turchia è sorprendente, così come l’Italia, la Grecia e tutti i paesi del Mediterraneo. Sono stato da voi il mese scorso, come turista. Ho girato le Cinque Terre, Firenze, Siena. Qualcuno mi ha anche riconosciuto per strada, ma nessuno poi mi ha fermato per chiedere autografi od una stretta di mano».
Gossard: «Io adoro i Caraibi, l’Australia, l’Italia. Ma anche il Messico ed il Costa Rica sono posti splendidi da visitare».
Ma esiste ancora una scena musicale a Seattle? I giornali sono sempre pronti a definirla "agonizzante"...
Ament: «Mah, io non lo so. Se esco di casa, preferisco andare a bere in qualche bar con gli amici. E’ molto che non ascolto musica live, non sono informato sulle novità. E se proprio voglio sentire qualcosa di nuovo, metto su un compact a casa mia. Ora sono abbastanza preso dalla world music basata su percussioni e ritmo».
Gossard: «No, io so invece che qualcosa di interessante è rimasto nella scena musicale di Seattle. Ma il mio è anche un interesse professionale, in quanto porto avanti anche l’attività con la Loosegroove, la mia etichetta discografica».
Ed hai anche un’attività parallela nei Brad. A quando i Pearl Jam di supporto alla tua band?
Gossard: «Uhm, non sarebbe male come idea, no? Forse dopo il prossimo lavoro dei Brad, che dovremmo riuscire a pubblicare entro la fine di quest’anno».
Il 20 febbraio parte da Maui il nuovo tour mondiale dei Pearl Jam. Vi aspetta una situazione stancante?
Ament: «No, affatto. Andremo in tour solo nel corso di quest’anno e faremo in tutto non più di 50-60 date. Partiamo dall’Oceania, poi abbiamo concerti qui negli States e saremo in Europa per settembre-ottobre. Ma abbiamo molte pause per riposarci e non farci pesare più di tanto lo stress del tour».
In un’intervista, Dave Grohl dei Nirvana ha detto di aver lasciato Seattle perché dentro casa sua c’era un fantasma che lo tormentava. Nessuna storia paranormale nei Pearl Jam?
Gossard: «No, nessun fantasma, non mi pare».
Ament: «Sai cosa? È già paranormale essere in una band come questa, non abbiamo bisogno di fantasmi ad elettrizzarci l’esistenza. La vita è già così strana di per sé».
Ultima domanda: quanto dureranno i Pearl Jam?
Ament: «Finché ce la faremo a salire su un palco, stanne certo. Con le nostre due band precedenti, io e Stone non siamo mai andati oltre il primo disco e qualche manciata di Ep. Ora con i Pearl Jam siamo già a quota cinque. Credo che una striscia di dieci sia sufficiente. Ma manca ancora tanto tempo per completarla».
Gossard: «E dopo che ci saremo sciolti da qualche anno inizieremo a pensare ad una reunion, così, tanto per suonare di nuovo assieme. Faremo un tour come tutti i vecchi gruppi che si ricostituiscono, rispolvereremo tutti i nostri brani. Sì, sarà divertente scioglierci un giorno».
 
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