Alternative Grunge Forum

INTERVISTE.......Articoli.....Link........, sulle band di seattle

« Older   Newer »
  Share  
pastare
view post Posted on 16/11/2006, 15:35 by: pastare
Avatar

amministratore forum

Group:
Administrator
Posts:
4,998
Location:
alternativegrunge forum

Status:


tratto da rock star
Pearl Jam riprendono la strada e, quattro anni dopo Riot Act, tornano con un nuovo disco omonimo.
In questa lunga intervista Eddie Vedder parla di politica, di surf e della figlia Olivia. E di quella
volta alle Hawaii, quando vide la morte in faccia


L’intervista si svolge nel nuovo magazzino dei Pearl Jam a Seattle, dove il gruppo sta costruendo uno spazio di registrazione e ha collocato tutte le sue attività di management e fan club. La conversazione inizia con alcuni commenti sul libro che ho scritto in danese: I Pearl Jams Fodspor ovvero Sulle Orme dei Pearl Jam, il quale illustra gli eventi successivi all’incidente al Roskilde Festival del 2000, dove nove ragazzi morirono durante un loro concerto. Nel 2002 contattai, da parte di Eddie Vedder, amici e famiglie di alcune delle vittime, mentre l’anno successivo Stone Gossard si recò in Danimarca e mi chiese di organizzargli un viaggio per incontrare i parenti delle vittime.
Il viaggio di Stone in Scandinavia è la spina dorsale del libro, pubblicato in Danimarca nell’ottobre scorso. Eddie mi chiede della reazione che ha avuto il libro in Danimarca.

Un’accoglienza davvero buona, mi ha contattato molta gente dicendomi: “Grazie per aver scritto il libro, ora posso ricominciare ad ascoltare i Pearl Jam. Per anni non sono riuscito a ascoltare la loro musica perché era troppo legata alla tragedia”...
«Si, è lo stesso che ho provato io con Kurt (Cobain, nda). Ancora oggi ho problemi ad ascoltare la sua musica. So come ci si sente.
In questo caso poi stiamo parlando di amici e famiglie e dei loro sentimenti. È incredibile poterne parlare a distanza di anni, ed è incredibile poterne ricavare anche lati positivi ».

In qualche modo c’è sempre luce alla fine del tunnel.
«A volte succede, semplicemente, ma non hai idea di quando girerai quell’angolo. È una cosa talmente dura da superare quando ci sei dentro. Come ha detto Tom Waits: “Anche in fondo al pozzo riesci a vedere le stelle di notte”, ma è molto difficile quando stai attraversando quella fase, perché hai perso tutto e hai il cuore a pezzi. Dentro di te continuano le reazioni fisiche, mentali e chimiche, ma non sai come sopravviverai: è una sorta di prova che semplicemente vivendo, andando avanti giorno dopo giorno, rende quel terreno che un tempo era solo cenere, fertile fino a fiorire. Incredibile, la vita è incredibile».

Ascoltando le parole di “Life Wasted”, canzone d’apertura di Pearl Jam, sembra che tu affronti i tuoi demoni. Il messaggio è che conosci l’oscurità della vita ma rifiuti di venirne trascinato di nuovo dentro. Una canzone positiva, consapevole di cosa significhi sprecare una vita.«È quasi come se ci fosse un’energia che si sprigiona dalla morte di qualcun altro, come succede quando partecipi ad una cerimonia. Nel surf facciamo questa celebrazione in cui siamo in cinquanta e remiamo verso il largo, superando le onde, tenendoci per mano e gettando le ceneri della persona morta nel mare.
Ho partecipato a una cerimonia del genere la settimana scorsa: abbiamo fatto un gran circolo con le nostre tavole da surf e abbiamo detto i nostri pensieri. È stato particolarmente intenso perché il ragazzo che era morto era un grande ambientalista, soprattutto riguardo agli oceani, e un surfer appassionato. Un ragazzo giovane, portato via da una malattia. Abbiamo nuotato verso il largo la mattina presto e il ragazzo che aveva le ceneri nello zaino ha visto un’onda enorme che gli è venuta addosso e l’ha presa, così ha potuto dargli un’ultima onda, poi ha nuotato verso di noi e si è seduto nel centro. Lo abbiamo ricordato e poi abbiamo versato le ceneri nell’oceano.
Una giornata bellissima. Ma una cerimonia del genere ti ricorda quanto è fragile la vita, ed è il momento in cui cominci a pensare a cose di questo tipo. Vita sprecata. Quando sei stato vicino alla morte hai una brama di vita che non vuoi perdere un secondo, anche se per quanto potente sia quella forza, sembra che a volte abbia una durata di meno di un mese. “Life Wasted” è un promemoria di quell’energia ».

Circola una storia su di te e il padre di Jack Johnson: alcuni anni fa alle Hawaii siete stati colpiti da un’onda enorme mentre facevate canoa e vi siete persi nel mare. È vero? Un collega l’ha chiesto a Jack ma non ha ricevuto risposta.
«Beh, Jack probabilmente è riluttante a raccontarla perché non era coinvolto lui, ma il padre. Stavamo remando tra due isole hawaiane e il tempo peggiorò improvvisamente, c’erano forti venti e proprio mentre cercavamo di mettere la canoa controvento, un’onda ci rovesciò. Eravamo sei, tre si aggrapparono alla barca mentre tre rimasero in mezzo all’oceano, io e due donne. Restammo tra le onde per quello che ci sembrò un periodo di tempo infinito. È successo nel 2001, ma non l’avevo mai raccontato prima».

Questo tipo di esperienza al limite della morte ti ha dato un nuovo appetito per la vita?
«Quando successe questo incidente stavo vivendo una vita da selvaggio da più o meno un anno. Con il ritorno dal tour di Binaural e quello che era successo in Danimarca (la tragedia di Roskilde, nda), sommato ai miei fatti personali (Vedder si stava separando dalla moglie Beth Liebling, nda), decisi di scomparire per circa un anno e proprio mentre ero in un posto dove nessuno poteva trovarmi stavo per morire. Beh, parte del mio processo per sopravvivere a tutto quel periodo, le scelte che ho fatto, mi avevano messo in una situazione in cui mi ero spogliato della mia identità fino a diventare un essere umano primitivo, animale, che viveva solo della terra. Così quando successe l’incidente ho semplicemente provato un legame forte con la natura, non ho provato panico. Se in quel momento fossi stato a Seattle, avessi preso una vacanza e mi fosse capitato un incidente come quello, sarebbe stato completamente diverso. Ma allora mi sentivo in pace, cercavo di pensare a un modo per uscire dalla situazione. Poi, per fortuna, ci salvò una barca di pescatori, l’unica che quel giorno era fuori, a causa del tempo: la figlia del pescatore vide noi che agitavamo i remi sopra le nostre teste, in mezzo alle onde, e vennero a prenderci. Due settimane dopo tornai con una piccola barca sulla scena del delitto, per vedere quanto lontano ci eravamo spinti e in che situazione ci eravamo cacciati. Provai l’impulso di vomitare: era molto peggio
di quanto avevo immaginato. Quando alcuni hawaiani seppero quello che era successo e dove, mi dissero: “È ora che torni a casa e ti metti a fare buone azioni, perché hai usato tutto il tuo karma”».
----------image

Torniamo al presente. Hai detto che considerate Pearl Jam il miglior disco che avete mai suonato. Che cosa pensi che vi sia riuscito con questo materiale che ti fa essere così sicuro dei nuovi pezzi?«È una domanda interessante. Innanzitutto credo che quello che facciamo sia cercare di fare la migliore musica di questo pianeta, con riferimento al nostro gusto personale. Ieri sera ho rivisto un vecchio amico, Robert Pollard dei Guided By Voices che avevo visto in concerto all’inizio della registrazione di questo album, quattordici mesi fa, in uno dei migliori concerti della mia vita. Ieri Bob si è esibito da solo, i Guided By Voices si sono sciolti, e ho pensato a quanto è bella la sua musica. Questo è quello che cerchiamo di fare con i Pearl Jam. Non cerchiamo di essere la band migliore, cerchiamo semplicemente di fare la musica migliore. E come facciamo a capirlo? Ci deve divertire. Per questo album abbiamo lavorato sodo, abbiamo litigato e discusso all’infinito e senza neanche pensarci troppo lo abbiamo partorito, mentre nel passato abbiamo sempre registrato abbastanza velocemente. Qualcuno porta una canzone, tutti la impariamo e la registriamo lo stesso giorno. Eravamo in un certo modo orgogliosi di quell’etica professionale, ma questa volta non siamo partiti con l’idea di fare qualcosa di differente, semplicemente è successo. Penso che oggi sentiamo di avere più potenziale di quanto ne avessimo nel passato, per questo dicono che Pearl Jam è il nostro album migliore».

È un ritorno parziale a canzoni molto veloci, grintose e con grandi cori. Ma anche con molti accordi strani e arrangiamenti vocali che ricordano Beatles e Beach Boys...«Stavolta avevo questo piccolo oggetto con me, una macchina digitale a otto piste. Ovunque andassi tenevo mia figlia con un braccio e la macchina con l’altro, la montavi in cinque minuti e appena arrivavo in hotel o in un qualsiasi altro posto alle quattro del mattino, cercavo la finestra migliore, spostavo i mobili, la mettevo e diventava semplicemente un amico.
Di solito è una chitarra o un ukulele ad avere questo ruolo e invece stavolta era un pezzo di tecnologia che mi permetteva di lavorare. Devo dire che mi sono goduto il processo creativo dell’album non appena abbiamo deciso di dedicargli più tempo. Originariamente, infatti, il disco sarebbe dovuto uscire lo scorso ottobre».

Stone Gossard disse che tu contavi di uscire nel Luglio scorso...«Dissi semplicemente: se impieghiamo così tanto tempo con la musica, mi dovete dare più tempo per i testi e il canto, perché non butterò semplicemente una mano di vernice. Infatti ho fatto un passo indietro, ho guardato tutto il lavoro fatto, ho preso un pennello piccolo ed alcuni grandi.
Qui è dove entrano i cori». Hai detto che tenevi tua figlia con un braccio e la macchina con l’altro. Olivia (la figlia avuta da Eddie nell’estate del 2004 dalla sua nuova compagna e modella Jill McCormick, nda) è la tua primogenita, e molti, diventando genitori, cambiano. È il tuo primo album da padre, hai sentito qualcosa di diverso?
«Penso che quello che la gente dice sul diventare genitore siano tutti cliché, come il fatto che rivivrai la tua infanzia e tutta questa innocenza entrerà nella tua vita. È vero, ma quello che non mi aspettavo era di diventare così arrabbiato nei confronti degli Stati Uniti, il nostro Paese, e del suo coinvolgimento a livello mondiale rispetto alla salute globale del pianeta. Mi ha reso radicale su cose su cui cercavo di essere diplomatico. Adesso sono arrabbiato, perché la cosa non riguarda più solo me, riguarda Olivia e dove sarà il mondo quando lei sarà adolescente. Sono furioso. Quindi non ho provato questo sentimento pacifico, sereno, di avere un figlio, ma è stato diverso. Davvero.
Perché quando hai un figlio sai che è il suo mondo, lo è per davvero. Per lui tutto è nuovo. Quindi, io alla mia età, mi rendo conto di avere un mio piccolo mondo, mentre questo grande mondo è tutto di Olivia, e non voglio che questi stronzi lo mandino a puttane. È il suo pianeta che stanno rovinando, quindi ora sono incazzato».

Hai anche detto che il misero stato in cui si trova il mondo è una delle principali ragioni che rendono questo album così aggressivo.
«È facile lamentarsi, ed è facile blaterare e farneticare, specialmente dopo qualche bicchierino con gli amici, dove nessuno ti mette in discussione. Questo è quello che succede con i repubblicani, la loro radio e tutti i media tendenti alla sfera dei conservatori, dove non viene messo in discussione nulla, e succede ugualmente a sinistra. Io penso ad una sfida più grande, magari è proprio questo il nostro compito: assicurarci di mantenere le domande fondamentali sempre in primo piano. Noi come band lo facciamo e penso che un sacco di altre persone nel mondo ci stiano pensando, ma il volume con cui queste conversazioni si fanno ascoltare nel mondo, e soprattutto negli Stati Uniti, è un volume a livello basso, mentre quello che viene comunicato a volume altissimo nei media è una massa di spazzatura e stronzate, gossip sulle celebrità o politici che parlano di questioni insignificanti: perfino in politica stanno diffondendo stronzate che servono solo per distogliere l’attenzione da quello che sta accadendo. Ma l’America è un Paese in guerra, probabilmente responsabile di centomila iracheni morti, delle loro vite, delle loro risorse. Il loro modo di vivere è peggiore di prima che arrivassimo noi, e pensa che quando siamo andati laggiù loro soffrivano a causa di sanzioni e di Saddam Hussein, un leader orribile. Ora, con l’occupazione statunitense, è ancora peggio».

La situazione potrebbe degenerare in una guerra civile?«Sì, e tutto questo solo perché vogliamo controllare quella parte di mondo e avere le loro risorse, per poi limitare Paesi come la Cina e l’India e avere il potere definitivo anche su di loro. Ma se sommi tutte queste cose, il nostro Paese è stracolmo di cazzate: tutti pensano e parlano solo di cazzate, show televisivi e celebrità, la reality TV che mostra tutti i lati peggiori della natura umana in competizioni meschine, e i canali che si fanno in quattro per trovare persone e sfruttare il peggio dell’essere umano. In un certo modo stanno dando in pasto alla gente questa roba per non farli pensare a quello che sta realmente accadendo, perché non ci possiamo abituare ad essere un Paese in guerra. È un’eredità orribile, e io non voglio lasciarla a mia figlia».

Vote for Change è stata una grande campagna per Kerry, ma alla fine, con la vittoria di Bush, avete perso. Che significato ha avuto organizzare un evento simile, creare e rafforzare nuovi legami nel mondo della musica? L’idea che puoi far sentire la tua voce e fare la differenza assieme ad altri? «Questa iniziativa ha mantenuto viva l'analisi sociale, ha garantito che artisti e scrittori possano avere un ruolo nel processo, mettendo uno specchio di fronte alla società. Non è stato facile perché c’erano persone molto potenti nel mondo dei media che volevano fermare tutto. Una delle strategie dei repubblicani è criticare non la questione sulla quale la persona discute, ma la persona in sé. Dicono: “Perché dobbiamo stare ad ascoltare attori di Hollywood?”, come se fossimo tutti l’élite della California. Noi non viviamo ad Hollywood, non facciamo parte di quel mondo, e quindi credo che se non si fosse intrapresa quella battaglia, lo scenario futuro sarebbe stato ancora meno fertile per lasciare che anche attraverso l’arte si produca analisi sociale».

Quindi anche se la battaglia è stata persa, è servita per stabilire una sorta di nuova fiducia?«Assolutamente. E ci ha anche fatto mettere in discussione affermazioni che la gente faceva sempre prima delle elezioni, come: “Noi continuiamo a sentirci più sicuri con George W. Bush”; ma dopo le elezioni ci si è resi conto che quello che dicevamo era giusto. Come con l’uragano Katrina: quanto si sono sentite sicure quelle persone? Quanto bene ci si è presi cura di loro in quanto americani? È come se tutte queste cose si siano rivelate da sole e sono davvero contento che là fuori ci siano state voci che cercavano di informare la gente e di dargli le notizie necessarie per fargli prendere delle decisioni. Guardando indietro non potranno dire: “Perché non lo sapevamo?”. In realtà lo sapevano e un sacco di gente ora dice: “Ok, adesso capisco”. E le informazioni iniziano ad avere un senso. Sai, con le canzoni è la stessa cosa. Quando avevo sedici anni suonavo sempre una canzone di Pete Townshend, ma l’ho capita solo quando ne avevo trentadue. Era “How Many Friends Do I Really Got”, e ho iniziato a sentirla in maniera completamente differente solo quando ho raggiunto la stessa età in cui Pete l’aveva scritta».

Succede lo stesso con le tue canzoni? Ti succede di scoprire cose nuove nei tuoi vecchi pezzi?
«Beh, forse sì. Alcuni passaggi possono diventare più chiari perché nella tua vita ti stanno accadendo determinate cose».

Hai parlato più volte della celebrità e delle cazzate di Hollywood. Da qualsiasi lato tu lo voglia guardare, sei un personaggio noto. Ti ha mai dato fastidio in passato? Hai imparato ad affrontare meglio la situazione nel corso degli anni?
«Oggi è tutto più limitato, ma c'è stato un periodo in cui i Pearl Jam arrivavano nei salotti della gente, grazie a video e trasmissioni televisive, eravamo molto più visibili. Mi ricordo che ci causava parecchi problemi nella sfera personale. Ognuno di noi, a modo suo, lo sentiva un po’ impegnativo, sia nelle relazioni con gli altri, che con i vicini o gli amici. Ci abbiamo messo un po’ di tempo ad abituarci e ci ha aiutato il fatto che quello era il livello massimo di notorietà al quale potevamo arrivare. Ma da quando quel livello è stato abbassato, la fama è diventata qualcosa a cui ora neanche penso e mi aiutano molto cose del tipo sparire nella natura per lunghi periodi di tempo. Lo faccio sapendo che sono molto fortunato ad avere questa possibilità, anche se in realtà uno lo potrebbe fare anche non avendo nemmeno un soldo, soprattutto se ti è capitato di nascere su un’isola. Diverso se sei nato nel Bronx. Ma sento che sono abbastanza consapevole di quello che significa essere un personaggio celebre».

Ritorni a suonare in Europa, per la prima volta dopo sei anni, dall’incidente di Roskilde. Che cosa ti ha fatto prendere questa decisione e hai già deciso se suonerai anche in Danimarca?
«È la prima volta da allora. Dovrei già sapere il programma, ma in realtà non lo so, ci stiamo lavorando. Quello che penso è che è stata dura. Quello che è successo negli Stati Uniti negli ultimi sei anni ha reso difficile rimanerci e quindi anche solo passare un lungo periodo di tempo in America Latina o Canada ha fatto bene a tutti noi della band. È molto difficile non perdere l'oggettività in un Paese come gli Stati Uniti, perché è troppo forte l’influenza dei media. I cittadini degli Stati Uniti non sono cittadini del mondo, sono cittadini degli Stati Uniti. È importante uscirne, uscire da questo continente e vedere come quest’idea che ci danno in pasto di essere la più grande nazione del mondo in realtà non sia vera. Certo, gli ideali sono buoni, e anche quello che sta scritto nella Dichiarazione d’Indipendenza, c'è un documento incredibile, per la libertà e i diritti umani, ma è un mito, e lo capisci quando vai all’estero. Perciò penso che non vediamo l’ora, per vedere oggettivamente da dove veniamo».

Dopo il Festival di Roskilde hai detto che non avreste mai più par tecipato ad un festival. Ora però suonerete al festival di Reading. Senti di poter controllare una situazione del genere?
«Sì, adesso sì. Nei mesi scorsi abbiamo fatto dei concerti gratis molto grandi in America Latina ed è andato tutto molto bene perché controllavamo la sicurezza».

A questo punta squilla il cellulare di Eddie e parte la suoneria: “Going Mobile” degli Who.

Edited by pastare - 16/11/2006, 15:57
 
Web Contacts  Top
4 replies since 22/10/2006, 13:32   271 views
  Share