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INTERVISTE.......Articoli.....Link........, sulle band di seattle

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pastare
view post Posted on 19/12/2006, 19:01 by: pastare
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"Un giorno ci capita di leggere un'intervista che Kurt Cobain aveva rilasciato ad un giornale locale in cui diceva: ‘I Pearl Jam fanno schifo, sono davvero un gruppo che fa canzoni di merda...’"

Che giornata incredibile!». Stone Gossard ha ragione: guarda fuori dalla finestra del quindicesimo piano che ci ospita e stenta a credere a tutta la luce ed al sole che oggi inonda Seattle, sbucato fuori stamattina dopo tre giorni di gelida pioggia orizzontale sferzata dal vento del Pacifico. E come lui, nemmeno i seattlers, gli abitanti della città, credono ai loro occhi e si agitano come ragazzini per le strade della metropoli, intenti a non farsi sfuggire nemmeno un raggio di calore. Ecco perché mentre si raggiunge l’albergo per l’intervista è facile incontrare persone con piumino da neve e pantaloncini corti, ragazze con lunghi vestiti leggeri ed estivi, qualcuno addirittura in canottiera, anche se non faranno più di 5 gradi ed il Pacifico non smette mai di ricordare la sua davvero vicina presenza. Insomma, sì, è pieno inverno, ma per Seattle oggi è festa; c’è uno dei 100 giorni di sole all’anno (gli altri 265 piove o/e nevica) e non c’è bisogno di pensare ad altro. O forse sì. Perché Gossard ha ragione anche per altri motivi, visto che questo è proprio l’incredibile giorno in cui i Pearl Jam tornano a rilasciare interviste dopo un silenzio stampa durato qualcosa come cinque anni. Un periodo assai lungo, soprattutto per i giornali assetati di notizie, ma anche un tempo ricco di soddisfazioni per il quintetto cittadino, arrivato alla decisione di tagliare i ponti con i mass media dopo il successo epocale e lo stress gigantesco accumulato con Ten, il debutto. Un album dall’intensità incredibile, capace di proiettare immediatamente i Pearl Jam nei favori del pubblico mondiale e sotto la continua osservazione rompiballe da parte della stampa, con quell’accumulo di domande stupide e di inutili gossip che trascinò il gruppo ad una nutrita serie di drastiche decisioni: niente interviste, niente videoclip per promozionare gli album seguenti e, soprattutto, nessun contatto con la stampa, lasciando che fosse solo il colossale passaparola di un pubblico fedele a spingere in alto le vendite dei lavori successivi: a tutti gli effetti, l’unica pubblicità di cui hanno goduto Vs., Vitalogy e No Code. Ma le regole sono fatte per essere infrante, ed ecco così che l’arrivo del nuovo Yield, uscito il 3 febbraio in tutto il mondo, cambia lo stato delle cose e porta i Pearl Jam a radunare a Seattle una manciata di giornalisti venuti da tutto il mondo appositamente per sentire, parlare ed investigare sull’attuale condizione del gruppo. Ad aprirsi al microfono ci sono il chitarrista Stone Gossard, che abbandona la finestra e siede gustandosi un tè, ed un emozionato Jeff Ament, il bassista. L’arrivo di Eddie Vedder e Mike McCready è previsto per il pomeriggio, mentre il drummer Jack Irons è rimasto tranquillamente a casa in California.
Innanzitutto, perché siamo qui? Voglio dire, cinque anni senza fare interviste, promozione e tutte le cose che collegano i gruppi alla stampa. Ed oggi? Cosa è cambiato per i Pearl Jam?Ament: «Mah, volevamo presentare al meglio questo nuovo disco, nessun motivo specifico oltre a questo».
Gossard: «Potrebbe essere l’occasione giusta per ricordarci perché non abbiamo fatto interviste negli ultimi cinque anni e, magari, tornare a non farne più per i prossimi cinque a venire (ridono, nda)».
Ament: «Per ora abbiamo una fitta serie di appuntamenti con mensili, quotidiani, radio».
E fra loro c’è anche Rolling Stone? Ricordo che tre o quattro anni fa il giornale americano tentò di distruggere l’immagine di Eddie Vedder, accusandolo di essere un "falso" clamoroso...
Gossard: «Mah, non so se ci sono anche loro nella lista, ma certo noi non abbiamo problemi. La cosa allora prese una brutta piega soprattutto nella loro mente e, da una parte, posso anche capirli. Erano mesi che ci inseguivano per ottenere un’intervista, solo che capitarono in un periodo completamente sbagliato, non eravamo proprio nell’attitudine e nell’umore giusto per parlare con la stampa. Era una cosa che stavamo evitando in ogni modo. Beh, dopo una lunga serie di no, evidentemente loro si sono... arrabbiati. E non hanno trovato nient’altro da fare che ricostruire la vita privata di Eddie, specialmente quella del suo periodo pre-Pearl Jam, supportando la teoria di come lui avesse sempre cercato il successo ad ogni costo, e che tutto il suo personaggio fosse "finto alternativo" ed in realtà assetato di fama e soldi».
Ament: «Solo un tentativo ridicolo di far male a qualcuno».
Il motivo che ci porta a quest’incontro è l’uscita di Yield, il vostro quinto album. Segna novità sostanziali rispetto ai precedenti?
Gossard: «Sì, certo. E la più importante, quella che sentiamo più forte delle altre, è che stiamo crescendo notevolmente come band. Questo è certo. Voglio dire, sappiamo sempre di più come si fanno i dischi, quali sono i nostri tempi ed i nostri modi ideali di lavorazione. Stavolta è migliorata ancora di più la nostra capacità di essere band, di lavorare davvero tutti assieme. Si è sempre trattato di contributi individuali combinati fra loro, questa è sempre stata la base dei Pearl Jam. Ma in questo nuovo lavoro la cosa è stata ancora più intensa e profonda, abbiamo raggiunto una maggiore alchimia. Con Yield abbiamo alzato il livello della nostra intesa comune. Perché quello che ci preme di più, comunque, è sviluppare al meglio le nostre idee, fare buona musica e cercare di migliorare sempre come musicisti».
Beh, è strano sentirvi dire questa cosa del ‘miglioramento’ dopo che i vostri lavori hanno venduto oltre venti milioni di copie attorno al mondo...
Ament: «Sì, è vero. Ma è normale cercare sempre di crescere, no? O quantomeno è quello che noi tentiamo di fare. Insomma, i Pearl Jam non hanno obiettivi stellari da raggiungere, siamo già più che soddisfatti di quello che è successo alla band in questi anni... Ora ciò che ci riserviamo come ‘persone’ è soltanto provare a scrivere la miglior musica possibile, collezionare una serie di songs interessanti, lavorare per trovare ognuno il proprio sound migliore. Questo è ciò che ci interessa, il resto conta meno».
Vuol dire che non state progettando olive giganti e megaschermi da inserire sul palco nel corso del vostro prossimo tour?
Gossard: «Ah, ah... come gli U2, vero? No, non ci interessa, davvero. Così come non puoi spingermi a fare polemica con loro, perché non è la mia idea. Il fatto è che siamo tutti insieme dentro questo business, nel quale ci sono tante opzioni possibili fra cui scegliere. L’unica cosa che so è che a noi non interessa diventare grandi tanto quanto lo sono loro. Ci piace molto di più l’idea di rimanere una piccola comunità che fa musica, che viaggia ovviamente anche attraverso le difficoltà che sorgono all’interno di un gruppo, quelle dovute alle singole personalità, una lotta di idee dalla quale poi scaturisce sempre nuova musica. E, soprattutto, ci interessa continuare a comunicare con gli altri, col pubblico, e farlo solo a modo nostro, senza doverci per forza preoccupare di quanti biglietti vendiamo, di quanta gente compra i nostri dischi, degli stadi mezzi pieni o mezzi vuoti. Ma se altri hanno intenzione di fare questo e di vivere così, beh, liberi di farlo».
Ament: «Che comunque mi sembra una caratteristica propria dei gruppi in giro da lungo tempo, come la band di Bono oppure i Rolling Stones».
Ai quali avete fatto da supporto per tre recenti serate ad Oakland. Come è andata?
Gossard: «Bene, molto bene. Siamo sempre stati dei loro grossi fan, a Mike (McCready, il chitarrista, nda) quasi veniva un infarto per l’emozione... Sì, eravamo un po’ tesi, ma poi Charlie Watts, il loro batterista, è venuto nel backstage per conoscerci personalmente, ha iniziato a raccontare una serie di storie divertenti che sono capitate agli Stones negli ultimi tempi e tutto si è risolto serenamente e con molte risate».
Ament: «Sì, Watts ha fatto di tutto per metterci a nostro agio. Si è rivelata un’ottima persona, così come anche gli altri. Ci siamo divertiti molto con loro ed è stato anche interessante scoprirli nel privato, avevano tutti quanti le famiglie al seguito».
Gossard: «Comunque è andata bene anche sul palco. C’erano anche molti nostri fans, gente venuta lì apposta per noi, per vederci suonare».
Ament: «Dopotutto il nostro nome era scritto grande sul cartellone di presentazione».
Visto che di interviste non se ne è parlato per lungo tempo, la stampa mondiale ha comunque trovato spesso l’occasione per spettegolare sul vostro conto, appiccicandovi di tanto in tanto questo o quel nemico. Anche R.E.M. e gli stessi U2, fra gli altri, prima di scoprire che si trattava solo di balle. Ed allora ditelo voi: chi è che nel corso di questi anni si è veramente comportato come ‘nemico’ dei Pearl Jam?
Gossard: «Kurt Cobain! Davvero! Immagina che situazione... E’ successo all’inizio della nostra vita come band, eravamo assieme da poco più di sei mesi, credo. Comunque era il periodo in cui iniziavamo a suonare qua e là nei locali di Seattle, stavamo già pensando al nostro primo album, però non avevamo ancora trovato un contratto discografico. Bene, Kurt lo avevamo incontrato un paio di volte durante queste occasioni, all’epoca i Nirvana erano già famosi e stavano preparando il loro secondo album. Ma fra noi non c’era mai stato problema, anzi, sembrava proprio una situazione tranquilla ed amichevole fra due gruppi che fanno parte della scena, capito come? Finché un giorno non ci capita di leggere un’intervista che lui aveva rilasciato ad un giornale locale ed in cui diceva: ‘I Pearl Jam fanno schifo, sono davvero un gruppo che fa canzoni di merda...’. Immagina te come siamo rimasti. Insomma, c’è questa persona che tu ammiri come performer e che hai sempre seguito con interesse come autore perché è in grado di scrivere canzoni strepitose. E lui cosa pensa della tua musica? Che fa schifo! Io volevo morire».
Ament: «Credo comunque che in seguito abbia cambiato idea. Sono sicuro che negli anni successivi Kurt si sia ricreduto sul nostro conto. Alla fine eravamo diventati buoni amici e non credo che avesse mantenuto quella stessa opinione nei nostri confronti... Ma volevo anche dire che non c’è quasi mai un motivo per odiare al 100% un altro gruppo. Magari conosci la gente di un’altra band e trovi che il cantante è molto simpatico, ma il chitarrista è un completo imbecille. Cose così, come nella vita».
Voi vivete ancora a Seattle. Perché?
Gossard: «Che intendi dire?».
No, che so: qui piove 300 giorni all’anno, fa sempre freddo. Da buoni rockers, non sarebbe meglio trasferirvi alle Hawaii, dove fa decisamente più caldo?
Gossard: «Nah, non fa per me. È vero che noi siamo spesso in viaggio, sia come band che per nostro piacere personale, e forse questo ci aiuta nel vivere qui. Ma io adoro Seattle, è il posto dove sono nato e cresciuto, ed è bellissimo rimanere in casa tre giorni di seguito perché fuori piove che non puoi nemmeno azzardarti ad uscire. Certo, se piovesse per sei mesi di fila, credo proprio che cambierei idea! Ma è bello aspettare il sole che esce. Ti dà un umore che mi piace molto».
Ament: «E poi qui ci sono i Sonics, una delle squadre più forti dell’NBA».
Gossard: «Sì, ed anche ottimi ristoranti, buone gallerie d’arte, splendidi posti attorno alla città. Puoi sciare, fare immersioni e c’è il Pacifico ad un’ora da qui. Non saprei davvero dove altro andare».
I vostri posti di vacanza preferiti?
Ament: «La Turchia è sorprendente, così come l’Italia, la Grecia e tutti i paesi del Mediterraneo. Sono stato da voi il mese scorso, come turista. Ho girato le Cinque Terre, Firenze, Siena. Qualcuno mi ha anche riconosciuto per strada, ma nessuno poi mi ha fermato per chiedere autografi od una stretta di mano».
Gossard: «Io adoro i Caraibi, l’Australia, l’Italia. Ma anche il Messico ed il Costa Rica sono posti splendidi da visitare».
Ma esiste ancora una scena musicale a Seattle? I giornali sono sempre pronti a definirla "agonizzante"...
Ament: «Mah, io non lo so. Se esco di casa, preferisco andare a bere in qualche bar con gli amici. E’ molto che non ascolto musica live, non sono informato sulle novità. E se proprio voglio sentire qualcosa di nuovo, metto su un compact a casa mia. Ora sono abbastanza preso dalla world music basata su percussioni e ritmo».
Gossard: «No, io so invece che qualcosa di interessante è rimasto nella scena musicale di Seattle. Ma il mio è anche un interesse professionale, in quanto porto avanti anche l’attività con la Loosegroove, la mia etichetta discografica».
Ed hai anche un’attività parallela nei Brad. A quando i Pearl Jam di supporto alla tua band?
Gossard: «Uhm, non sarebbe male come idea, no? Forse dopo il prossimo lavoro dei Brad, che dovremmo riuscire a pubblicare entro la fine di quest’anno».
Il 20 febbraio parte da Maui il nuovo tour mondiale dei Pearl Jam. Vi aspetta una situazione stancante?
Ament: «No, affatto. Andremo in tour solo nel corso di quest’anno e faremo in tutto non più di 50-60 date. Partiamo dall’Oceania, poi abbiamo concerti qui negli States e saremo in Europa per settembre-ottobre. Ma abbiamo molte pause per riposarci e non farci pesare più di tanto lo stress del tour».
In un’intervista, Dave Grohl dei Nirvana ha detto di aver lasciato Seattle perché dentro casa sua c’era un fantasma che lo tormentava. Nessuna storia paranormale nei Pearl Jam?
Gossard: «No, nessun fantasma, non mi pare».
Ament: «Sai cosa? È già paranormale essere in una band come questa, non abbiamo bisogno di fantasmi ad elettrizzarci l’esistenza. La vita è già così strana di per sé».
Ultima domanda: quanto dureranno i Pearl Jam?
Ament: «Finché ce la faremo a salire su un palco, stanne certo. Con le nostre due band precedenti, io e Stone non siamo mai andati oltre il primo disco e qualche manciata di Ep. Ora con i Pearl Jam siamo già a quota cinque. Credo che una striscia di dieci sia sufficiente. Ma manca ancora tanto tempo per completarla».
Gossard: «E dopo che ci saremo sciolti da qualche anno inizieremo a pensare ad una reunion, così, tanto per suonare di nuovo assieme. Faremo un tour come tutti i vecchi gruppi che si ricostituiscono, rispolvereremo tutti i nostri brani. Sì, sarà divertente scioglierci un giorno».
 
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