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Gutter Twins: intervista

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view post Posted on 5/3/2008, 17:00
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'La nostra musica? Come un film di Jodorowsky'
Dio (o il diavolo, scegliete voi) li fa e poi li accoppia. Mark Lanegan (Screaming Trees, Queens Of The Stone Age, solista e leader di un gruppo che porta il suo nome) e Greg Dulli (Afghan Whigs, Twilight Singers, ma anche collaboratore e produttore degli Afterhours) si conoscono da anni, e da anni si scambiano cortesie, sostegno, idee, musicisti e “guest appearances”. Condividono un passato burrascoso (Lanegan soprattutto ha rischiato grosso con le droghe), consumano caffè e sigarette in quantià industriali, caratterialmente e anche morfologicamente sono complementari: Greg ciarliero, sovrappeso e dall’aria gaudente, Mark ossuto, tatuato e taciturno. Sono “gli Everly Brothers satanici”, secondo una felice definizione coniata dallo stesso Dulli per sottolinearne la predilezione per le fiamme e gli inferi; o i Gutter Twins, i gemelli di fogna che con questa sigla, inventata su due piedi da Lanegan, firmano oggi “Saturnalia”, il primo disco in coppia che esce in questi giorni nei negozi. Saturo di gospel e di blues elettrico, di country & western di frontiera e di ballate tenebrose, di melodia e di scudisciate chitarristiche. Registrato a casa loro, un po’ a Los Angeles e un po’ a Joshua Tree, ma anche in una New Orleans che porta ancora le cicatrici di Katrina. “La foto di copertina è stata scattata lì, un anno dopo le devastazioni dell’uragano”, racconta Dulli nella stanza satura di fumo del loro hotel milanese. “L’ha fatta un mio amico fotografo, Frank Relle, di notte, con otto minuti di esposizione. Un pezzo come ‘Seven stories underground’ poteva nascere solo lì. ‘Front street’, l’ultimo pezzo dell’album, lo abbiamo scritto a casa mia. Una volta completato ho chiamato il mio amico Dave Rosser e gli ho detto che saremmo andati a registrare nel deserto. A riascoltarla rivedo tutto: casa mia, il viaggio in macchina, il deserto di notte…”
Anche l’Italia fa la sua parte, nella mappa geografica di “Saturnalia”, il cui titolo evoca le festività pagane dell’antica Roma durante le quali gli schiavi tornavano temporaneamente a diventare uomini liberi. “Prima ancora del nostro debutto sul palco a Roma, con gli Afterhours, è stato qui a Milano che io stesso sono stato informato dell’esistenza dei Gutter Twins!”, spiega Greg. “Me ne parlò un amico italiano, che aveva avuto una conversazione poco tempo prima con Mark”. Il quale, a proposito dell’origine del nome, non si sbilancia più di tanto: “Mi è venuto così, su due piedi, mentre raccontavo a qualcuno che mi sarebbe piaciuto metter su una band con Greg. Il disco lo abbiamo chiamato ‘Saturnalia’ perché abbiamo cominciato a registrare qualche giorno prima del Natale 2003: i tempi coincidevano con quelli delle antiche festività rituali”. Anche i Gutter Twins ne hanno approfittato per camuffarsi, in qualche modo, come gli antichi romani di allora? “Non puoi nasconderti più di tanto con le canzoni”, sibila Lanegan. “In qualche modo riflettono sempre il tuo punto di vista e la tua visione del mondo”. Certo che quattro anni sono tanti…. “Non se consideri tutto quello che abbiamo fatto nel frattempo”, si giustifica Dulli. “Siamo stati on the road insieme e separatamente, io ho trascorso otto mesi in Italia con gli Afterhours e nel frattempo ho cominciato a scrivere canzoni per quello che sarebbe diventato ‘Powder burns”. Mark intanto incideva un pezzo per la colonna sonora del film su Dylan, ‘I’m not there’, faceva un disco con i Soul Savers e due con Isobel Campbell (il secondo, vedi News, di prossima uscita: “E’ diverso dal precedente, abbiamo tentato cose differenti”, ci anticipa Lanegan). Dopo la chiusura di un tour dei Twilight Singers in Australia lui è partito per la Scozia ma ci siamo dati appuntamento un mese dopo a New Orleans. Da quel momento abbiamo marciato spediti: ci abbiamo messo quaranta giorni, non quattro anni, a incidere ‘Saturnalia’”. “Scrivere canzoni con Mark”, aggiunge, “è stata la cosa più facile che abbia mai fatto. Prima ancora di conoscerci ci stimavamo a vicenda, e prima di cominciare a suonare insieme siamo diventati grandi amici forgiando una relazione molto solida. Così siamo stati subito capaci di mettere da parte i nostri ego, e avere due frontmen nella stessa band per noi non è un problema”.
C’è che, in effetti, Lanegan e Dulli sono l’esatto opposto di quei musicisti che amano starsene isolati, o circondarsi al più dei soliti collaboratori fidati. Loro, al contrario, vivono per incrociare strade e collaborazioni. “E’ il bello del mestiere di musicista”, conferma Lanegan. “Ti permette di vedere le cose in prospettiva diversa, ti spinge a far cose che da solo probabilmente non avresti mai realizzato. E alla fine, auspicabilmente, ti fa anche diventare una persona e un musicista migliore”. Ecco perché anche “Saturnalia” è pieno di amici e di vecchie conoscenze. “Joseph Arthur”, spiega Dulli, “è una delle persone e dei musicisti migliori che io abbia mai incontrato. Vai a un suo concerto e per due ore filate non senti una sola canzone che non sia degna di non essere ascoltata. Lo conosco da dieci anni, e da cinque anni suoniamo insieme di tanto in tanto. Ha cantato su due album dei Twilight Singers e io gli restituisco il favore comparendo in tre pezzi del suo prossimo album. Anche Martina Topley-Bird è un’amica comune, per quanto io non avessi mai collaborato con lei prima d’ora. Le uniche due assolute novità del disco sono Rick G. Nelson, che suona gli archi nei Polyphonic Spree, e Mario Lalli, di cui io e Mark siamo fan di lunga data. Entrambi hanno dato un contributo inestimabile”. Come tutti gli altri i musicisti, Mathias Schneeberger (coproduttore) e Scott Ford, Troy Van Leeuwen e Norm Block, lasciano un segno in un disco intenso, fortemente intriso di spiritualità e di immaginario religioso. “Ce ne siamo accorti solo a disco completato”, riflette Dulli. “Entrambi, credo, siamo persone con forti inclinazioni spirituali e, per quanto mi riguarda, sono cresciuto nella chiesa romana cattolica. Un paio di volte alla settimana, quand’ero bambino, assistevo al rituale della messa, e quella è una cosa che ti resta in testa soprattutto se la sperimenti quando sei in un’età fortemente impressionabile. E poi anche il blues e il gospel, musiche che entrambi amiamo, sono due forme d’arte fortemente spirituali. Sono espressione di uno stesso stato mentale, di una stessa condizione esistenziale: quella di chi si trova legato sul fondo di una nave, trascinato via dalla sua madre terra verso un luogo straniero, costretto a lavorare per un padrone che non conosce e contro la sua volontà. Arrivano dall’Africa, dalla sofferenza di persone in cattività che nella musica cercavano un conforto e un senso di trascendenza. Quel tipo di sentimento, estremamente potente, non ha mai mancato di commuovermi”. Conoscere il lato scuro dell’esistenza, insomma, è propedeutico alla spiritualità? Sembrerebbero dimostrarlo musicisti come Nick Cave, certi scrittori Southern Gothic… “E i grandi bluesmen, appunto. E Nina Simone. Gente che con la musica ha saputo esprimere il senso di solitudine che puoi provare anche nel bel mezzo di una stanza affollata, un sentimento triste e oscuro che tutti prima o poi abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. Tutta la musica che preferisco riflette una esperienza di vita vissuta e per questo ha una sua intima bellezza”. Qualche consiglio su un libro o un film da accoppiare all’ascolto di “Saturnalia”? “ ‘L’uomo che guardava a Sud Est’, forse. E ‘Santa sangre’, o meglio ancora ‘El topo’: i film di Jodorowsky sono surreali, emozionanti. E pieni di sangue”.
I Gutter Twins saranno in Italia ad aprile per due date, il 23 a Roma e il 24 a Milano.
 
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